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Infermieri sospesi per aver denunciato quanto accadeva al Pio Trivulzio. 140 morti ed omissioni. Ecco cosa accadeva

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 21/04/2020 vai ai commenti

AttualitàCoronavirusLombardia

 

Risulta a codesta direzione che la S.V., unitamente ad altri dipendenti e collaboratori, ha diffuso a mezzo stampa (Corriere della Sera), televisione (Rai, Mediaset, Sky, La7) il testo di una querela sporta nei confronti della nostra azienda e della committente Fondazione Don Gnocchi con l’accusa di aver leso la vostra incolumità. In seguito a tale condotta, la Fondazione ha esercitato, in data 17 aprile 2020, il diritto di non gradimento nei suoi confronti”. Fermo restando il Suo diritto di tutelare i suoi diritti, nonché il diritto dell’azienda di difendersi si reputa che la scelta di divulgare le accuse prima ancora che si instauri, sempre che mai si instauri, un procedimento lede l’immagine dell’azienda e della committenza, oltre che minare il rapporto fiduciario con la S.V. e mettere a rischio l’azienda nel rapporto con lo stesso committente.

 

E’ il testo della raccomandata recapitata brevi mano ai dipendenti, tra cui infermieri, della cooperativa Ampast, che prestavano servizio presso l’Istituto Palazzolo, firmatari di un esposto in cui si chiede ai pm di Milano di indagare “atteso che i comportamenti omissivi e commissivi – è scritto nella denuncia – appaiono cagionare colposamente un’epidemia”.

Prestavano servizio è il tempo del verbo giusto, visto che suddetti dipendenti sono stati sospesi con diritto alla retribuzione, in attesa dell’adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti “eversivi”.

La storia

La vicenda è quella del Pio Albergo Trivulzio di Milano, la casa di riposo e cura dove tra marzo e aprile hanno perso la vita 140 ospiti, e per la cui morte è indagato il Direttore Generale Giuseppe Calicchio per epidemia colposa e omicidio colposo.

L’inchiesta sulla gestione della RSa è nata dalle denunce dei familiari degli anziani morti e dai lavoratori, gli stessi che adesso sono stati sospesi.

Siamo stati lasciati completamente da soli, senza direttive che prevedessero protocolli aziendali diagnostico-terapeutici, senza univoche direttive sul trattamento dell’epidemia del Coronavirus, senza norme di isolamento, senza la possibilità di fare tamponi e senza DPI fino al 23 marzo». A scriverlo sono medici, infermieri, sanitari e amministrativi del Pio Albergo Trivulzio.

I sanitari raccontano de «la mancata fornitura delle mascherine, giudicate non necessarie, e dei tamponi oltre alla circostanza di aver dovuto sopportare di essere redarguiti dal personale direttivo nel caso in cui qualcuno del personale sociosanitario indossasse mascherine portate da casa a tutela della salute degli ospiti e del personale stesso». Mascherine che sarebbero stati «obbligati a togliere al fine di evitare di generare un “inutile e ingiustificato allarmismo” tra i pazienti e i loro parenti».

Uno di loro sarebbe stato «sospeso temporaneamente dal servizio per aver contravvenuto alla disposizioni», altri invece sarebbero stati «invitati a riprendere anzitempo il servizio dopo un periodo di quarantena fiduciaria senza prima aver eseguito il primo e il secondo tampone».

I sanitari spiegano di aver ricevuto «direttive che impedivano l’invio in urgenza, tramite 112, dei pazienti più gravi in pronto soccorso sostenendo che le cure prestate presso il nostro istituto fossero “migliori” oltreché “maggiormente dignitose” rispetto a quelle prestate in pronto soccorso». Nessun reparto Covid-19 sarebbe stato allestito all’interno della struttura, «nonostante le numerose sollecitazioni alla direzione dell’istituto». Lì avrebbero potuto «isolare i pazienti sospetti, tutelati esclusivamente dal personale dedicato». E, invece, «a tutt’oggi il personale viene spostato da un reparto all’altro senza verificare la negatività del tampone, esponendo quindi al contagio ulteriore personale sanitario e pazienti».

Nonostante tutto, aggiungono, medici, infermieri, sanitari e amministrativi hanno sempre lavorato «con energia e professionalità osservando spesso turni di lavoro a dir poco massacranti»: «Molti di noi hanno messo a repentaglio la propria salute rimanendo vittima del contagio a causa delle descritte carenze sotto il profilo della normativa di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro». Infine denunciano «il clima aziendale interno non tra i più favorevoli».

 

Oggi gli operatori sanitari che hanno denunciato sono stati allontanati:

La fondazione Don Gnocchi in una nota “precisa di aver legittimamente esercitato il proprio diritto contrattuale di ‘non gradimento’ nei confronti della Cooperativa Ampast, ritenendo la presenza di alcuni loro lavoratori all’interno della struttura incompatibile e inopportuna dopo che gli stessi, a mezzo stampa e televisione, avevano espresso giudizi gravi e calunniosi, tali da ledere il rapporto fiduciario con la Fondazione. La Cooperativa, in qualità di datore di lavoro, – conclude la nota – anche a sua propria tutela, ha autonomamente ritenuto di avviare l’iter di contestazione disciplinare, secondo quanto normativamente previsto”.

 

 

Da Open e FattoQuotidiano