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Furbetti del cartellino. Illegittima la legge anti-assenteisti. Stop al danno d’immagine

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 22/05/2020 vai ai commenti

Leggi e sentenze

Negli ultimi anni si è assistito al dilagare del fenomeno dell’assenteismo.

Parliamo dei cosiddetti “furbetti del cartellino”, autori di condotte di varia tipologia quali la timbratura del cartellino al posto di colleghi, l'allontanamento dal servizio senza autorizzazione, la simulazione di infermità e lo svolgimento di attività extraistituzionale in orario di lavoro.

Nel tentativo di arginare il fenomeno il legislatore è intervenuto sotto un duplice profilo:

  • quello del ricarcimento patrimoniale cagionato all'Amministrazione di appartenenza per l'indebita percezione della retribuzione in assenza della corrispettiva prestazione del servizio
  • quello del danno non patrimoniale arrecato all'immagine e al prestigio della medesima Amministrazione.

L’articolo 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001 stabilisce che, fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una Pubblica Amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600.  Nei casi in esame, il dipendente, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno d’immagine di cui all’articolo 55-quater, comma 3-quater del citato decreto delegato.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 61 del 10 aprile 2020 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di parte dell’art. 55-quater  nella parte in cui disciplina la falsa attestazione in servizio dei dipendenti pubblici, con particolare riferimento alla previsione della responsabilità del dipendente per danno all'immagine.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale: sentenza n. 61 del 9 gennaio - 10 aprile 2020 (in Gazzetta Ufficiale, Prima Serie Speciale - Corte costituzionale n. 16 del 15 aprile 2020).

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per l'Umbria, è stata chiamata a pronunciarsi in ordine all'azione di responsabilità nei confronti di una dipendente comunale che per quattro giorni aveva attestato falsamente la propria presenza in servizio sino alle ore 18:00 anziché fino alle ore 17:00 (orario di effettiva interruzione del servizio).

La Corte ha ritenuto che non fosse presente nella legge delega la possiblità di introdurre modalità di stima e quantificazione del danno all’immagine, poichè così si è costituita una un’autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.

La Consulta ritiene violati gli articoli 76 e 3 della Costituzione. L'art. 76, che disciplina i decreti legislativi, dispone che: "L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti." Questo perché la norma che si considera incostituzionale, è stata introdotta dal legislatore delegato eccedendo i limiti della delega. Il Governo infatti non avrebbe potuto introdurre norme sostanziali in grado di fissare criteri di liquidazione del danno all'immagine derivanti dalla falsa attestazione della presenza sul posto di lavoro da parte dei dipendenti pubblici, stabilendo un limite edittale minimo che mette in pericolo il rispetto del principio di proporzionalità tra la gravità del fatto concreto e la sanzione. Evidente inoltre l'eterogeneità dei poteri sanzionatori disciplinari del datore e di azione della Procura, altro elemento da cui emerge il palese eccesso di delega in cui è incorso il legislatore.

Violato anche l'art. 3 della Costituzione, in combinazione con gli articoli n. 23, 117 comma 1 Costituzione in relazione all'art. 6 CEDU e art. 4 e Protocollo n. 7, perché la norma obbliga il giudice contabile ad applicare una condanna sanzionatoria, senza poter tenere conto concretamente della gravità della condotta del dipendente pubblico, in violazione del principio di proporzionalità

 

 da il Sole24ore