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Infermieri in oncologia pediatrica. Stress, rabbia ed ansia. Come superare la morte di un bambino?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 02/07/2020 vai ai commenti

NursingStudi e analisi

La morte di un bambino ha un forte impatto a livello fisico e psicologico sul personale infermieristico, comportando sofferenza (Forster & Hafiz, 2015; Lima, Gonçalves & Pinto, 2017).

Che rischi corre un infermiere che lavora in un reparto pediatrico oncologico? Come fare a superare lo stress e qualeistrategie di coping sono efficaci?

Le ripercussioni degli episodi di morte sul personale infermieristico non devono essere trascurate, dal momento che sono una fonte importante di stress, portando a conse­guenze sulla qualità dell’assistenza fornita agli altri pazienti e ai loro caregivers.

 

Assistere malati cronici, con patologie potenzialmente mortali, ed affrontare la perdita di un paziente con il quale hai nel tempo stabilito un legame, seppur di cura, contribuisce al rischio di sviluppare stress post- traumatico accompagnato da burnout, depersonalizzazione, depressione, difficoltà a svolgere azioni di vita quotidiana, cambi d’umore ed insonnia.

Stato d’ansia che possiamo considerare decuplicato se il paziente in questione è un bambino.

Il contatto con la malattia e con la morte di un bambino sono eventi che portano gli infermieri a vivere una serie di emozioni devastanti; il percorso che precede il decesso e l’evento stesso rappresentano uno dei principali fattori di rischio dello stress occupazionale degli infermieri che lavorano in ambito pediatrico.

 

Uno studio, pubblicato sulla rivista Professioni infermieristiche, condotto presso L’U.O.C. Clinica di Oncoematologia Pediatrica - Azienda Ospe­daliera di Padova, ha indagato i vissuti e le strategie di coping degli infermieri che lavorano in oncoematologia pediatrica di fronte alla morte dei bambini/ragazzi assistiti.

 

Sono stati intervistati 36 (72%) infermieri (età compresa tra 24 e 57 anni).

La morte di un paziente provoca emozioni e sensazioni: impotenza, rabbia, identificazione con i genitori, tristezza e disorientamento per l’incapacità di trovare spiegazione alla morte del bambino.

Emozioni e sensazioni

Di fronte alla morte di un paziente il 42% degli infer­mieri afferma di provare una sensazione di impotenza, rite­nendo la morte ingiusta e innaturale, non sapendo come reagire nel momento della morte o non essendo stati in grado di impedire il decesso.

Tra gli altri sentimenti emersi, vengono nominati tristezza, dolore, ansia, disorientamento, frustrazione, ingiustizia, amarezza, sconforto, dispiacere, delusione, necessità di prendere le distanze, inadeguatezza vedendo che il proprio operato non è bastato a salvare la vita del paziente o per non avere saputo trovare le parole giuste con i genitori.

 

Ripercussioni sulla vita quotidiana

Gli infermieri sostengono di provare rabbia, nervosismo ed un senso di pesantezza, tanto più se sono stati a contatto per un periodo lungo con il bambino.

Ma c’è anche per chi il percorso e l’episodio di morte conducono a una crescita personale, facendo riflettere sul senso della vita ed in particolare sulle cose positive della propria.

 

Strategie di Coping

Il concetto di coping fa riferimento a come le persone affrontano (to cope with) le situazioni che vengono percepite come stressanti, sia quotidiane che straordinarie, con lo scopo di attivare l’individuo a reagire e fare qualcosa per domare l’evento e controllare la proprie emozioni.

Tra le strategie di coping utilizzate, prevale di gran lunga il bisogno di sfogarsi e di “buttare fuori” con i colleghi medici e infermieri, con una persona esperta, con famigliari o amici, scrivendo su un’agenda privata o attra­verso il pianto.

Tra le altre strategie di coping utilizzate compaiono lo stare vicino ai genitori del bambino, la focalizzazione sulla propria vita personale esterna al reparto, il senso di responsabilità per il ruolo professionale svolto nei confronti degli altri bambini presenti in reparto, la ricerca di una spiegazione attraverso il proprio credo religioso, partecipando a convegni o leggendo libri che parlano di vita e morte, il tentativo di rimuovere dai ricordi gli episodi dolorosi ricordando solo quelli felici del bambino, l’isolamento per qualche istante dalla situazione che stanno vivendo, il tentativo di fare del proprio meglio con gli altri bambini presenti in reparto.

Dieci infermieri sostengono di non adottare strategie di coping, perché ritengono di non avere una formazione adeguata in merito, perché considerano l’evento di morte un fatto che appartiene alla natura umana o perché convinti che non ci siano strategie da utilizzare perché ogni evento di morte è diverso dall’altro.

Supporti disponibili per il personale infermieristico

La maggior parte (72%) degli infermieri intervistati sostiene che non ci sia nessun supporto per gli infermieri dell’unità operativa, sottolineando come ci si debba arran­giare, circostanza ritenuta molto grave. Due infermieri, inoltre, sottolineano la mancanza anche di una formazione specifica per la presa in carico del paziente terminale.

Alcuni propongono delle soluzioni; la maggior parte segnala la necessità di un supporto generico, seguita dalla proposta di garantire uno psicologo in reparto, a disposi­zione degli infermieri per l’intero arco della giornata lavo­rativa.

 

Da: Vissuti e strategie di coping di fronte alla morte in oncoematologia pediatrica: studio qualitativo- Experiences and coping strategies of nurses in the face of death in pediatric hematology: qualitative study