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In quanto infermiere, sei sempre obbligato a soccorrere una persona, se ti imbatti in un incidente?

Quella del reato di omissione di soccorso a carico degli infermieri, è una questione controversa, essendo l’omissione di soccorso un reato comune.

L’omissione di soccorso è prevista dall’articolo 593 del codice penale: Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità(2) è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento euro. Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.

Perché possa applicarsi la norma in esame, è necessario che non sussista un dovere particolare di assistenza, penalmente sanzionato. In tal caso, infatti, si applica la norma speciale (per es., l’art. 328 c.p. che prevede l’omissione di atti d’ufficio), e non quella dell’art. 593 c.p., dalla quale, come si è visto, nasce un dovere generale di assistenza.

La dottrina giurisprudenziale distingue tra:

un infermiere che trovi un comune cittadino in pericolo e non lo soccorra, risponde di omissione di soccorso come reato comune;

un infermiere operante all’interno del SSN, che abbandoni il reparto o il malato, risponde del reato di abbandono di persone incapaci, e se l’abbandono provoca la morte, anche del reato all’articolo 591 penale-chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro. La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

un infermiere chiamato a soccorrere una persona, in quanto infermiere e non vi si rechi, essendo un incaricato di servizio pubblico non risponderà di alcun reato.

Prestare assistenza o chiamare le autorità?

Il codice penale precisa che spetta al soccorritore prestare assistenza o dare immediato avviso alle autorità. Ma con quale priorità tra le due?

La giurisprudenza su questa questione si divide, e quindi nell’incertezza è meglio precisare che “l’assistenza se prestata, deve essere, occorrente, cioè la più idonea in rapporto alla situazione, tempo, luogo, capacità personale e pericolo”.

Altra questione dibattuta è quella del dissenso al soccorso da parte del soggetto in pericolo, qualora si tratti di suicidio o autolesioni volontarie.

Anche qui la dottrina di divide, perciò a valere deve essere il principio di in dubio pro-vita, e quindi il soccorritore dovrà intervenire.

 

Il reato omissivo di cui può rendersi responsabile l’infermiere è il rifiuto di atti d’ufficio. Diversamente dal reato di omissione di soccorso, che può essere commesso da chiunque, il rifiuto di atti d’ufficio può essere commesso soltanto da colui che riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (pertanto, nel caso dell’infermiere, dal dipendente di una struttura sanitaria pubblica o convenzionata).

L’art. 328 c.p. dispone che: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

 

Atti dell’ufficio sono gli atti dovuti e legati alla competenza funzionale del soggetto. Il rifiuto consiste, dunque, nel diniego di compiere un atto doveroso.

Il sanitario, che riveste lo status di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, ha il dovere, dunque, di non rifiutare un atto del proprio ufficio che, per ragioni di sanità, deve essere compiuto senza ritardo. Il riferimento è “all’atto che ha, per propria natura e a prescindere dall’espressa previsione di un termine entro il quale deve essere compiuto, il carattere dell’indifferibilità, nel senso che deve essere compiuto immediatamente per non pregiudicarne, sia pure potenzialmente, l’utilità e per non determinare l’aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice”

Per quanto concerne, specificatamente, la professione infermieristica, la realizzazione di tale reato si configura ogni qualvolta l’infermiere rifiuti una prestazione dovuta, indipendentemente dalle conseguenze lesive per la salute del malato che derivino da tale comportamento. L’indebita omissione si configura in relazione ad atti non solo direttamente mirati a finalità di cura, ma anche di igiene e di accudimento del paziente, o, semplicemente, di verifica circa le necessità del degente che richiede l’intervento.

 

 bibliografia: Aspetti giuridici della professione infermieristica -  Luca Benci