Al Friuli Venezia Giulia, grazie di tutto. Gli Infermieri
Non se ne sentiva assolutamente il bisogno ma il Friuli Venezia Giulia ha voluto ugualmente darci un assaggio (e nemmeno gratuitamente) di quanto sia fallimentare tutto ciò che ruota intorno all’ ambiente sanità. Si perché la sanità è un contenitore ampio, ampissimo, dove galleggiano dentro più contenuti e tra questi vi è anche la porzione occupata dal demoralizzante settore della pubblica selezione. Viene da chiedersi “Non lo sapevano?”. Certo che si, la virtuosissima regione lo sapeva. Sono mesi che il super-atteso e stra-pubblicizzato concorso in Friuli vanta a suon di forti trombe una mole di iscrizioni che gravita intorno ad un numero record attestato ai 4 zeri.
E così molti sono partiti (tra cui io) con quello che potevano permettersi perché spendere ingenti somme solo per una preselezione di cui è incerto il risultato non conviene o perché siamo spulciati dopo l' avviso a Roma o ancora per colpa della cooperativa che non ci ha pagato questo mese. Alcuni completamente disoccupati hanno optato per autobus economicissimi. E sia che il mezzo fosse stato noleggiato ad hoc per l’ evento o venisse preso singolarmente dalle varie stazioni tutti abbiamo provato il disagio di un viaggio lungo oltre dieci ore, con appena due (chi una) soste, alla ricerca del posto al sole: ma con dignità. Immobili sul sedile di un Pullman gremito, asfissiante, pieni di borse e mal di schiena, intorpiditi dall’ ansia e dalla paranoia, disgustati dall’ idea del mancato igiene prolungato fino al giorno dopo. Stivati come le schiere di schiavi africani durante la rivolta degli Amistad eppure proprio come loro su tutto questo c’ era una meraviglia che splendeva e poteva levigare il fastidio: la speranza. La speranza di veder incarnata, dopo mesi di attesa, la realtà dell’ organizzazione efficiente tanto decantata. La speranza di poter mangiare un pasto caldo e bere, darsi una sciacquata al volto prima e dopo il test, provvedere ai bisogni normali. La speranza di poter tentare lealmente di guadagnarsi un posto, finalmente con meritocrazia, sempre in una delle regioni di cui tanto si millanta il virtuosismo sanitario. Non volevamo un Eldorado ma ci sembrava nostro diritto essere accolti con l’ umana dignità di chi ha pagato e fatto sacrifici per raggiungere Trieste.
La grande promessa, quella dell’ efficientissimo Nord-Est crolla esattamente alle otto e trenta della mattina quando si scopre la penosissima (dis) organizzazione a cui sono riusciti a dar vita avendo pure avuto a disposizione mesi interi: ci si deve impegnare per raggiungere tali vette di inefficienza. La fila non parte, rimane li accalcata al freddo di fronte all’ ingresso muto: vi resterà fino alle undici e trenta. Tre ore di ritardo che per l’ effetto reazione-a-catena provocano disastri personali e notevolissimo disagio che si perpetua per l’ arco della giornata e va a riverberarsi su ogni fronte. I servizi igienici degli unici bar disponibili, al decimo cliente sono già ridotti a orride latrine dallo stagnante odore acre; i maschietti (ma anche qualche femminuccia temeraria) preferiscono cercarsi un posto dietro le macchine per urinare così da non perdere d’occhio la fila. Chi non ha lo stomaco chiuso dalla rabbia e prova a mangiare si trova infarcito insieme al panino un prezzo da capogiro, inusuale, dagli stessi baristi che però alle repliche sulla sporcizia dei bagni replicano un secco “Non sapevamo del concorso, nessuno ci aveva avvertito”.
Quando iniziano a chiamare finalmente va in scena l’opera “Concorso per 173 posti a tempo indeterminato” e la situazione non è meno rocambolesca della concertistica atmosfera Woodstock di cui poco prima fuori. Accalcati sui posticini minuscoli delle tribune, stanchi, sporchi e arrabbiati; i sedili gialli non possono ospitare contemporaneamente una persona ed i suoi cappelli, sciarpe o borse con dentro documenti imperdibili cosi la masserizia finisce tutta sul pavimento ed i suppellettili personali vanno a confondersi con gli accessori degli altri.
La gestione dello svolgimento è un’ opera buffa da primo fiasco, peccato non aver posseduto della verdura da gettare: alle domande si può tranquillamente rispondere in comune perché chi dovrebbe controllare non può essere davanti a te e contemporaneamente dieci miglia più giù. Sorpresi più studenti a “copiare”, le Vestali a protezione del buon senso civico non hanno ammonito nessuno, limitandosi a fare il cenno del silenzio col dito sul naso, come la maestra tollerante e dal buon cuore fa col bambino indisciplinato che deve ancora capire.
Divide et impera: con questa locuzione i Latini imponevano la tirannia lasciando che le fazioni popolari si scannassero tra di loro. E questo a distanza di secoli vale oggi più che mai; su Facebook si sta assistendo ad una guerra asprissima tra chi vuole preparare un ricorso e chi vorrebbe vedere premiata la meritocrazia perché magari sa che il test lo ha fatto bene e si vede minata l’unica possibilità di un contratto. E non hanno torto nessuno; il sistema ci costringe alla guerra tra poveri piuttosto che alla coesione. Quando accalappiano ad un' unica fune i colli di tutti e tirano, viene fuori l’ istinto della sopravvivenza: cosi cerchiamo di scalappiarci noi e di lasciar morire il vicino invece di tirare tutti insieme e divincolarci. Divide et impera...
Nel pomeriggio l’opera buffa viene riproposta per altri partecipanti. Stessi vergognosi tempi di barbara attesa, stessa ansia, stessa preoccupazione angosciante di chi lavora il giorno dopo di dover rinunciare perché a 500 km informano che non si possono concedere cambi turni e non sarà tollerato nessun ritardo: uno dei tanti motivi per cui scappano da quella cooperativa così lontana alla ricerca di qualcosa di meglio. Anche stavolta, l’ esecuzione del test avviene con le medesime modalità burattinaie della mattina: il sistema muove i fili e noi subiamo il fascino disgraziato del servizio, compreso quello che vende bottigliette di acqua all’ interno dello stesso ad un prezzo più alto o quando scocca il gong per riconsegnare perentoriamente il questionario compilato (spesso a gruppi) e c’è chi si ritrova col compito ritirato e chi, più in là, gode di altri cinque minuti per portarlo a termine (studenti che hanno protestato a questa cosa non sono stati ascoltati)
Ed è così che ripartiamo come siamo arrivati ma stavolta la speranza si è accartocciata nel secchione insieme al pacchetto di sigarette: delusi, stanchissimi, sporchissimi e con a carico una media di altre dieci ore di viaggio: molti per tornare subito a lavorare senza nemmeno il lusso di una doccia. Sui Pullman stracarichi ed asfittici siamo così stremati e terrorizzati all’ idea del viaggio di ritorno che ci si lascia alla stanchezza; alcuni dormono con la testa appoggiata al finestrino e non sentono nemmeno le botte sul vetro quando il Pullman curva.
Giulia - disoccupata: “Mi rendo conto di aver sognato, forse perché non avendo un lavoro vedevo questa come un’opportunità. Quando siamo entrati eravamo stanchi, sfiniti e mantenere la minima concentrazione per rispondere alla domande è stato difficilissimo: la testa era svuotata da troppa attesa e rabbia. Mi ha fatto comunque bene venire qui, almeno adesso so cosa aspettarmi dai concorsi pubblici”.
Francesco - Infermiere RSA: “Il mio collega se ne è dovuto andare. Questo è successo perché se fossimo entrati alle otto e trenta allora per le due avrebbe preso il treno e sarebbe stato in servizio stasera perché non ha ottenuto il cambio turno. Ma alle undici ha lasciato perdere e se ne è andato incazzato. Ed ha tutte le ragioni per esserlo: molti se ne sono tornati a casa. Una vergogna"
Lorenzo - appena laureato: “Lavoro con partita IVA presso una cooperativa. Lo stipendio non è alto ma come tanti colleghi accetto perchè il curriculum lo devo riempire. Cerco un posto nel pubblico perché in questo modo non potrei accendermi una vita indipendente. Ho fatto 14 ore di viaggio in Pullman ed altrettante mi attenderanno stasera. Le condizioni sono disumane e inaccettabili. Pensavo al mito del Nord organizzato”
Claudia, Infermiera di dialisi: “Sono una precaria, il mio contratto scadrà a breve e non lo rinnoveranno. Cerco una possibilità nel pubblico perché sono mamma: ho l’obbligo di garantire un futuro a mio figlio”
Giulia, Infermiera assistenza domiciliare: “Mi ha appena chiamato il coordinatore per lavorare domani mattina. Questo significa che stasera prenderò il pullman e dopo 13 ore di viaggio sarà fortuna se riuscirò a fare una doccia prima di andare al lavoro. Siamo qui dalle 14, sono le 16 e la fila è interminabile come lo era due ore fa. Uno scandalo per cui abbiamo pagato almeno 60 euro a testa: minimo, 60 euro".
Rimane la rabbia e lo sgomento per un sistema che ci ha preso soldi e restituito una condizione inaccetabile e disumana, mirata a guadagnare il più possibile e completamente svuotata di ogni connotato umano e meritocratico. Cosa ci aspettiamo allora dagli altri concorsi a cui parteciperanno altrettante persone?
Al Friuli-Venezia-Giulia, grazie di tutto. Gli Infermieri.