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Covid e temperatura ambientale. A quanti gradi la carica virale decade?

Il decadimento del virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia COVID-19, è sensibile all’aumento della temperatura ambientale, come dimostrato per altri virus. E’ quanto ha potuto osservare un team di ricercatori del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità in uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Microbiology and Infection dell’European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases.

Diversi studi hanno dimostrato che la diffusione virale potrebbe essere influenzata dalle condizioni climatiche poiché i virus  tendono a ridurre la loro circolazione in estate a causa delle alte temperature e della radiazione solare.

In effetti, l'attuale diffusione di COVID-19 lungo l'equatore e i tropici si è dimostrata significativamente inferiore, portando all'ipotesi che l'aumento della temperatura influenzi la resistenza ambientale di SARS-CoV-2.
Nel tentativo di prevedere la dinamica epidemica di COVID-19 durante i mesi estivi, abbiamo testato la stabilità ambientale di SARS-CoV-2 in parallelo a temperatura ambiente (RT, 20 ° C – 25 ° C) e a una temperatura massima media per giugno (JT) stimato a 28 ° C in Italia.

Gli esperimenti condotti in vitro hanno dimostrato che innalzando la temperatura fino a 28°C, la temperatura massima prevista per il mese di giugno, la carica virale subisce un drastico decadimento entro le prime 24 ore dall’emissione di droplet infette, mentre per raggiungere gli stessi livelli di decadimento alla temperatura di 20-25°C (temperatura ambiente) sono necessari tre giorni. 

Lo studio conferma che la trasmissione fomite dell'emergente SARS-CoV-2 è possibile, perché il virus è rimasto vitale sulle superfici di plastica per un massimo di 84 ore sia a RT che a JT. In entrambe le condizioni sperimentali, il virus non era rilevabile a 96 ore.

La titolazione del punto finale ha mostrato che l'infettività del virus su una superficie di plastica è diminuita rapidamente durante le prime 24-36 ore a temperatura ambiente e c'era una notevole differenza tra le due temperature.
È stato riportato che le superfici contaminate sono vettori significativi nella trasmissione di infezioni e la sopravvivenza dei virus su una varietà di fomiti è stata dimostrata per altri coronavirus, virus influenzali paramixovirus, poxvirus e retrovirus.
I risultati di questo studio supportano l'ipotesi che durante la stagione calda l'aumento della temperatura possa influenzare la resistenza ambientale del SARS-CoV-2 e ridurre la probabilità di trasmissione del virus.

“I nostri dati aiutano a spiegare il perché le condizioni ambientali estive più sfavorevoli per il virus ne abbiano rallentando la diffusione e il contagio – spiega il virologo Fabio Magurano che ha coordinato lo studio - Al contrario l’abbassamento delle temperature permette al virus di resistere di più e nel contempo giustifica una maggiore capacità delle goccioline respiratorie di persistere e diffondersi nell’ambiente, favorendo la diffusione del virus e il contagio”.