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8 marzo. Sono donne ed infermiere a pagare il prezzo più alto della pandemia

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 08/03/2021 vai ai commenti

AttualitàCoronavirusCronache sanitariePunto di Vista

Quella fotografia diventò un'immagine simbolo nelle prime settimane dell'emergenza da Covid. Elena Pagliarini, infermiera del pronto soccorso di Cremona, dopo un turno estenuante, crolla sulla tastiera del computer, la mascherina, il camice addosso.

Fu scattata l’otto marzo di un anno fa, un anno di pandemia.

Lo scorso anno, come in questo, l’otto marzo non può che assumere un valore diverso, sommesso, sofferto.

Ci apprestiamo a fronteggiare la terza ondata di un’emergenza che per gli infermieri non è mai finita, in cui uomini e donne insieme, hanno lavorato strenuamente senza risparmiarsi.

Le donne, numericamente più numerose nella categoria infermieristica, sono loro malgrado diventate simbolo di una delle più grandi catastrofi dalla fine della seconda guerra mondiale.

Da Elena che crolla sul computer a Claudia Alivernini, la prima infermiera ad essere stata vaccinata il 27 dicembre 2020, passando per Alessia Bonari, il cui volto segnato da ore di maschera ed occhiali, fece il giro del mondo.

Osannate poi odiate, le donne hanno subito le fasi altalenanti di questa pandemia: la paura del virus sconosciuto le eresse ad eroine, gli applausi scroscianti, le canzoni sui balconi, le pizze calde in corsia; poi la rabbia degli stessi che le osannavano le ha trasformate in esibizioniste, terroriste, teatranti di uno spettacolo messo su ad arte per uccidere tutti.

Un anno fa non sapevamo quanto alto era il prezzo che avremmo pagato, oggi i numeri lo raccontano:

Secondo l'utlimo rapporto Inail, la sanità si distingue per il forte incremento delle denunce di infortunio in occasione di lavoro, che in quasi i tre quarti dei casi hanno riguardato il contagio da Coronavirus. L’aumento è del +206% su base annua (dai circa 27.500 casi del 2019 agli oltre 84mila del 2020), con punte superiori al +750% a novembre e tra il +400% e il +500% a marzo, aprile, ottobre e dicembre, nel confronto con i mesi dell’anno precedente. 

La categoria professionale più colpita continua a essere quella dei tecnici della salute, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative a infermieri; quasi sette contagiati su 10 (69,7%) sono donne.

Ma le donne non hanno pagato solo in termini di contagio, perché sono state quelle ad aver subito maggiormente i danni psichici da stress post-traumatico.

Secondo uno studio condotto, dall’ospedale «Sacco», dal «Policlinico» e ddlla «Statale», sulla salute mentale del personale sanitario in Lombardia, che ha coinvolto 189 medici, 318 infermieri, 114 tecnici e fisioterapisti, 32 assistenti sociosanitari, è emerso che  le donne hanno avuto una probabilità maggiore rispetto agli uomini di entrare in condizione di «disturbo da stress post-traumatico»; che la categoria più in crisi sono state le infermiere.

Gli autori di una recente revisione sistematica, hanno osservato un impatto psicologico complessivo elevato della pandemia di Covid-19 tra gli operatori sanitari, per il quale fattori di rischio maggiori sono essere donne, essere infermiere.

Ed infine sono le donne infermiere a subire violenza sul luogo di lavoro.

Secondo la FNOPI, l’89% è stato vittima di violenza sul lavoro – situazione che nella prima fase della pandemia si era placata, ma che purtroppo ha ripreso vita al calo dei contagi e ora è stazionaria – che nel 58% dei casi è stata violenza fisica.  Il che vuole dire che hanno subito violenza in generale sul posto di lavoro circa 180mila infermiere e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica.