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Piano di Ripresa e Resilienza: basterà a salvare il Servizio Sanitario Nazionale?

 

Milena Gabanelli, con il suo DataRoom, in un minuto ha tra l'altro aperto una finestra su cosa possa significare avere risorse e programmarne la spesa.

 

Immaginate di avere un gran colpo di fortuna e di vincere una discreta somma alla lotteria.Da anni casa vostra necessità di riqualificazione che se ben fatta la riporterebbe all'antico splendore, adatta alle esigenze del presente e proiettata verso le soluzioni del futuro.

Preferireste comprarne una nuova riprogettandola da zero sapendo che i proventi della vincita non basterebbero o provereste la via della ristrutturazione sapendo che risparmiereste da subito qualcosa e molto di più nel lungo periodo considerato che per manutenerla impegnavate risorse che non generavano il benessere desiderato?

Ecco, le risorse aggiuntive previste per la sanità dal Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono un po' come la vincita alla lotteria insperata e che ci mettono di fronte a scelte coraggiose che se ben architettate e realizzate, potrebbero restaurare il nostro Servizio Sanitario Nazionale, ridando vita ai suoi principi fondanti, proiettandolo verso una maggiore sostenibilità e soprattutto, efficienza ed efficacia.

Se la famigliola baciata dalla fortuna faceva enormi sacrifici per mantenere confortevole la propria casa centellinando le spese e attuando ogni strategia e sacrificio per far quadrare i conti, possiamo dire altrettanto di tutti quanti hanno avuto e hanno la responsabilità della spesa sanitaria ad ogni livello?

 

L'analisi di un documento del 20 gennaio scorso ad opera del Servizio Studi Camera dei Deputati, ci aiuta ad avere il quadro di come si sia evoluto l'ammontare del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale e dalla sua lettura compare un dato molto chiaro: se da un lato il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario è stato decurtato, principalmente a causa del contributo aggiuntivo che le regioni hanno dovuto assicurare alla finanza pubblica (evento che si è trasformato spesso nella soppressione o peggioramento di servizi), il triennio 2019-21 ha visto un aumento consistente di risorse le cui ragioni conosciamo bene.

A me interessa però che sia ben chiara la quota prevista per il 2020: 117, 8 miliardi di Euro. Centodiciassette,8 miliardi di euro, così suona anche meglio.

 

Quello che allora viene da domandarmi è se con quasi 118 miliardi di euro non fossimo già in grado di compiere quella rivoluzione che la lotteria appena vinta oggi impone. Siamo sicuri che quella cifra fosse tutta ben spesa, ben impiegata? Siamo certi che le analisi e i controlli imponessero nuove risorse? Possibile che per la spesa sanitaria, le prescrizioni, la specialistica, la produttività, l'assistenza domiciliare, tutto tracciasse una linea sotto la quale lampeggiava in rosso il risultato SERVONO ALTRE RISORSE?

Non mi occupo di economia sanitaria, non sono un esperto, sono un infermiere con 23 anni di esperienza e tanto mi basta per sospettare che la risposta fosse no, che quelle risorse fossero molte e decisamente mal spese, sprecate in una somma di mille rivoli affluiti in un grande fiume di sperpero di cui nessuno può ritenersi privo di responsabilità.

 

Veniamo quindi al piano nazionale che da solo aggiungerà ulteriori 15,63 miliardi di euro ai 121,7 previsti per il 2021 con aumenti progressivi fino a quasi ulteriori tre miliardi a tutto il 2026; avete capito bene, altri quindici,63 miliardi aggiuntivi. Ma per fare cosa.

Nel piano si distinguono due grandi capitoli:

RETI DI PROSSIMITÀ, STRUTTURE E TELEMEDICINA PER L'ASSISTENZA SANITARIA TERRITORIALE per una quota pari a sette miliardi di euro

e

INNOVAZIONE, RICERCA E DIGITALIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE per una quota pari a 8, 63 miliardi di euro.

Queste sarebbero le due macro aree di investimento, individuate per superare le criticità messe in evidenza dalla pandemia e riportare sotto controllo la spesa.

Come non essere d'accordo? Sappiamo tutti bene quanto sia necessaria un'inversione totale di rotta che sposti il baricentro della risposta sul territorio e renda gli ospedali finalmente funzionali al loro compito, il tutto, accedendo finalmente a sistemi informatici degni di questo nome che consentano l'integrazione dei servizi anche sociali aggiungerei.

Che per finanziare la ricerca ci fosse bisogno di una pandemia e di questa lotteria, dimostra poi quanto in basso fossimo finiti e quanto fosse piuttosto più importante mantenere in piedi la filiera della clientela che quei miliardi di euro hanno garantito finora. Non ho paura di dirlo, gli sprechi a questo servivano e questo finanziano ancora.

 

Ma torniamo al piano dove si legge che la missione si articola in due componenti:

  • Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale: rafforzare le prestazioni sul territorio, potenziamento e creazione di Case della Comunità e Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina e integrazione con tutti i servizi socio-sanitari

  • Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale: rinnovamento e ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali, Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), migliore erogazione e monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Rilevanti risorse destinate anche alla ricerca scientifica e a rafforzare le competenze e il capitale umano, formazione del personale.

Nulla di nuovo sotto il sole verrebbe da dire perché è da anni che si parla di queste misure come necessarie e improcrastinabili; misure che dovevano essere già attuate con i finanziamenti ordinari.

E' avvilente avere la consapevolezza di quanti soldi si siano sprecati per arrivare a questo punto, determinando le differenze note tra aree.

Qualche controllo in più avrebbe fatto male? Ma mi chiedo: siamo pronti ai controlli? Sapremmo essere capaci di sopportare un audit da cui traspaia il nostro buono o cattivo e magari antieconomico operato? Ho i miei dubbi ed infatti nel piano nulla si legge rispetto alla verifica e revisione di qualità che serve proprio a valutarla, salvo generici intendimenti di potenziamento dei controlli sulla spesa.

Senza una misura, senza un controllo, senza una revisione non se ne esce, dal 2026 ci ritroveremo a parlare delle stesse identiche cose.

 

Pensiamo forse che investire due miliardi nelle case della salute e presa in carico per crearne 1288 e spendere un miliardo per 381 ospedali di comunità sia la panacea di tutti mali?

Scorrendo questi dati spicca e impressionano i 4 miliardi per la "casa come primo luogo di cura" il cui investimento mira a:

  • Identificare un modello condiviso per l'erogazione delle cure domiciliari;

  • Realizzare un sistema informativo per dati clinici in tempo reale;

  • Attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), di coordinamento tra servizi sanitari, ospedali e rete di emergenza-urgenza;

  • Utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche.

Finalmente! E se mi sta bene che "solo attraverso l'integrazione dell'assistenza sanitaria domiciliare e sociale si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione, riducendo il rischio di ricoveri inappropriati". Nulla si accenna però a come e chi questi obbiettivi dovrebbe realizzarli. Nulla è scritto sul personale necessario, la sua formazione e specializzazione e altrettanto fumose sono le cifre investite che ci dovrebbero in qualche modo tranquillizzare:

  • 2,72 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti;

  • 0,28 miliardi per l'istituzione delle COT;

  • 1 miliardo per la telemedicina.

 

Che l'infermiere di famiglia rientri in questi piani finalmente e la sua istituzionalizzazione e formazione sia finalmente resa certa? Che l'attività libero professionale degli infermieri sia finalmente attuata? Chi se non l'infermiere cui la norma ha demandato la responsabilità dell'assistenza e quindi della presa in carico si occuperà di tutto questo? La federazione degli ordini professionali degli infermieri, nel 2019 e prima del covid stimava una carenza al 2023 di 58 mila infermieri. Rientra nel piano la loro assunzione, laa loro formazione attivando i posti necessari e potenziando le strutture universitarie?

 

Sarà pur vero che questo piano rappresenta una linea guida che indica una direzione generale, una via segnata con cui l'Italia ha staccato il biglietto vincente della lotteria Europa ma francamente e mi dispiace dirlo, sento un gran sfregare di mani e non credo si tratti di mani pulite.

 

Andrea Tirotto