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Legittimo svolgere altra attività lavorativa durante aspettativa per motivi familiari?

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La Redazione
Pubblicato il: 19/06/2022 vai ai commenti

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

 

E' legittimo il licenziamento del dipendente per giustificato motivo soggettivo se, durante l'aspettativa per gravi motivi familiari, ha svolto attività lavorativa per l'impresa della moglie.

 

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 19321 del 15 giugno 2022 che ha osservato che la gravità dell’inadempimento si basa sulla violazione del divieto di svolgere qualsiasi attività retribuita durante il periodo concesso dal datore.

 

La Corte d'appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una spa per giustificato motivo soggettivo. Nella specie, il lavoratore, nel periodo in cui stava usufruendo dell'aspettativa per gravi motivi familiari, era stato sorpreso a svolgere delle attività lavorative riconducibili all'impresa di cui lui e la moglie erano titolari.

Il ricorrente, in sede di legittimità, ha chiesto la nullità della sentenza per omessa motivazione sulla gravità dell’inadempimento ai fini del giustificato motivo soggettivo di recesso. A suo avviso, il giudice di merito non aveva considerato che l’aspettativa concessa non aveva comportato benefici economici per il lavoratore né costi per la collettività o conseguenze negative per la società datoriale, visto quest'ultima che non aveva avuto la necessità di sostituirlo.

Per il Palazzaccio il motivo è infondato. I Supremi giudici hanno ritenuto corretto il giudizio del giudice capitolino il quale ha motivato la sua decisione sulla gravità dell’inadempimento del lavoratore, basata sulla violazione del divieto di svolgere qualsiasi attività lavorativa durante il periodo di aspettativa concessa per gravi motivi familiari, ai sensi dell’art. 4, L. 53/2000, e sulla proporzionalità della sanzione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo rispetto a tale inadempimento, applicando le relative clausole generali in relazione all’espresso divieto normativo. Pertanto, il ricorso è stato respinto e il ricorrente condannato a pagare le spese di giudizio.