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Braccialetti per proteggere i sanitari: misura inefficace e segnale di una frattura insanabile?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 23/09/2024 vai ai commenti

Punto di Vista

In Lombardia, Umbria e Piemonte è partita la sperimentazione di un dispositivo di allarme per proteggere i sanitari dalle aggressioni. Un braccialetto speciale, simile a uno smartwatch, segnalerebbe alla centrale operativa eventuali situazioni di pericolo, attivando un intervento immediato delle forze dell'ordine. Questo strumento, già adottato in alcune grandi città per le donne vittime di violenza, è ora al centro delle politiche di protezione per il personale sanitario. Ma è davvero una soluzione efficace?

Un segnale che potrebbe arrivare troppo tardi
La logica dietro questo nuovo dispositivo è chiara: prevenire e gestire le aggressioni sempre più frequenti ai danni del personale sanitario. Ma non si può ignorare un aspetto fondamentale: il tempo di intervento. In molte situazioni critiche, l'arrivo delle forze dell'ordine potrebbe risultare tardivo, rendendo il braccialetto più un placebo che una vera soluzione. Se il dispositivo emette un segnale solo nel momento in cui l'aggressione è già in corso, è plausibile chiedersi quanto possa realmente fare per impedire il danno. Le aggressioni spesso si svolgono in pochi secondi, un lasso di tempo insufficiente per fermare un'azione violenta, anche con il miglior supporto tecnologico a disposizione.

Un deterrente insufficiente
Se si considera l’idea del braccialetto come deterrente, l'efficacia diventa ancora più dubbia. Chi si sente pronto ad aggredire un medico, un infermiere o un operatore sanitario, molto probabilmente non sarà dissuaso dalla presenza di un dispositivo di allarme. La natura stessa di molte aggressioni, spesso scaturite da frustrazione e rabbia incontrollata, rende difficile immaginare che un braccialetto possa rappresentare una vera forma di prevenzione. Queste violenze nascono da dinamiche ben più complesse, che un semplice segnale d’allarme non può risolvere.

La frattura insanabile tra paziente e sanitario
Il vero nodo della questione sembra essere un altro: la crescente frattura tra cittadini e operatori della sanità. Una distanza che negli anni si è acuita anche a causa di una narrazione distorta da parte della politica e dei media. Alcuni esponenti politici non hanno esitato a bollare i dipendenti pubblici come “fannulloni”, alimentando una percezione di sfiducia e diffidenza nei confronti di chi lavora nelle strutture pubbliche. Parallelamente, la costante enfatizzazione dei casi di malasanità da parte dei media, anche laddove non esistevano, ha alimentato ulteriormente la rabbia. Questo ha contribuito a creare un clima ostile, in cui i sanitari sono visti come colpevoli di disservizi che spesso non dipendono direttamente da loro.

Politica e media: i veri responsabili?
Le continue accuse verso i dipendenti pubblici e l’insistenza nel puntare il dito sulla malasanità hanno deteriorato irreversibilmente il rapporto tra pazienti e sanitari. Di fronte a una sanità che arranca per mancanza di risorse, la frustrazione dei pazienti esplode verso i primi che si trovano a portata di mano: medici e infermieri. Tuttavia, la responsabilità di questi disagi risiede spesso nelle strutture amministrative e nei tagli ai fondi, non nel singolo operatore che si ritrova a gestire situazioni di emergenza con mezzi sempre più ridotti.

La necessità di un cambiamento culturale
La questione delle aggressioni ai sanitari non può essere ridotta all’introduzione di un dispositivo tecnologico, per quanto avanzato possa essere. Serve un cambiamento radicale nella percezione del sistema sanitario, che veda operatori e pazienti dalla stessa parte, uniti contro le carenze strutturali e non separati da una reciproca diffidenza. Politici e media dovrebbero impegnarsi a ricostruire il rapporto di fiducia, smettendo di alimentare una narrazione che danneggia ulteriormente un settore già in forte difficoltà.

I braccialetti anti-aggressione potrebbero rappresentare un aiuto, ma da soli non risolveranno il problema. Non sono un deterrente efficace e non garantiscono un intervento tempestivo. La radice delle aggressioni risiede altrove: nella frattura tra cittadini e sistema sanitario, esacerbata da una certa politica e da una narrazione mediatica tossica. È ora di guardare oltre le soluzioni superficiali e di avviare un serio percorso di riconciliazione, ricostruendo fiducia e rispetto reciproco tra pazienti e operatori della sanità.