Iscriviti alla newsletter

Studiare online non dà diritto ai permessi retribuiti. Le regole

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 12/11/2025

FormazioneProfessione e lavoro

 

12 novembre 2025 – I dipendenti pubblici iscritti a università telematiche non possono ottenere permessi studio retribuiti se non dimostrano che le lezioni si svolgono in orario coincidente con quello lavorativo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 25038/2025, pubblicata l’11 settembre, destinata a fare da riferimento in particolare anche per il comparto sanità.

La pronuncia ribalta l’orientamento dei giudici di merito che in precedenza avevano riconosciuto il diritto ai permessi, ritenendo sufficiente l’iscrizione a un corso universitario. Secondo la Cassazione, però, ciò non basta. I permessi per motivi di studio hanno come presupposto la coincidenza tra le lezioni e l’orario di servizio, un elemento che spesso manca nei corsi offerti dalle università telematiche, dove le lezioni sono disponibili in modalità asincrona.

I permessi studio giustificano l’assenza solo se l’attività didattica avviene durante l’orario di lavoro,” si legge nell’ordinanza. “Non si possono usare per studio personale o lezioni seguite in orario extra-lavorativo.”

A rafforzare questa linea, anche l’orientamento applicativo espresso da ARAN, secondo cui i corsi erogati dalle università telematiche non danno automaticamente diritto ai permessi, proprio perché non impongono orari rigidi di frequenza. In altre parole, se un corso può essere seguito liberamente in qualsiasi momento, il dipendente ha la possibilità – e l’obbligo – di organizzarsi al di fuori dell’orario di lavoro.

La Corte richiama anche precedenti giurisprudenziali che chiariscono la distinzione tra “frequenza” e “studio”: i permessi retribuiti servono a coprire le assenze legate alla partecipazione attiva a lezioni programmate, non allo studio individuale.

Le conseguenze nel pubblico impiego

Questa decisione ha un impatto diretto sulle amministrazioni pubbliche, comprese quelle sanitarie, chiamate a valutare con maggiore rigore le richieste di permesso. In mancanza di attestazioni precise – rilasciate dagli atenei – che certifichino orari e giorni di lezione coincidenti con quelli lavorativi, il permesso non può essere concesso. Altrimenti, si tratta di semplice aspettativa per motivi personali, non retribuita.

L’ordinanza della Cassazione fissa così un principio chiaro: il diritto allo studio non viene negato, ma non può gravare sull’amministrazione se non sono rispettate le condizioni previste dal contratto collettivo. Un messaggio importante anche alla luce della crescente diffusione della formazione a distanza nel pubblico impiego.