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L’infermiere di psichiatria è responsabile dei comportamenti autolesivi e suicidari del paziente? Normativa

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 04/05/2020 vai ai commenti

La rubrica di Luca benciLeggi e sentenze

La storia dell’infermiere psichiatrico è inevitabilmente legata alla storia della malattia mentale.

Le prime descrizioni inerenti alla figura infermieristica parlano di “guardiano dei matti” ed il quadro permane per tutto il XIX secolo: una persona generalmente analfabeta, ignorante e brutale, proveniente dalle classi più umili, tenuta a distanza dai medici e persino dai pazienti.

Essere un “guardiano dei matti”, veniva ritenuto un mestiere pericoloso per la vita di chi lo praticava: gli infermieri dovevano stare sempre insieme ai pazienti, con l’obbligo dell’internato e della divisa, vi era il divieto di dormire fuori dall’istituto e il divieto di sposarsi.

Avevano il diritto di premiare e punire i degenti, infliggendo a questi bagni caldi e freddi improvvisi e violenti, sottoponendoli a torture e a violenze sessuali.

Il rapporto medico- infermiere era centrato sull’autorità di uno sull’altro, il medico ordinava, l’infermiere eseguiva e lo assisteva nei trattamenti terapeutici dell’epoca: elettroshock, insulino- malario terapia, bagni caldi-freddi.

La figura dell’infermiere comincia a cambiare negli anni settanta ed in relazione all’evoluzione del trattamento della malattia mentale; con la legge n.180 del 13 maggio 1978 chiude l’esperienza manicomiale e si apre la fase territoriale, e questa cessa la funzione di custodia a carico del personale infermieristico.

Vengono istituite le sezioni di psichiatria all’interno degli ospedali ed adottato il principio della volontarietà del trattamento; viene introdotto trattamento sanitario obbligatorio -  TSO attribuito a particolari condizioni, con una procedura garantista e nel rispetto della dignità della persona, dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione.

In relazione all’evoluzione degli istituti psichiatrici che lasciano posto agli ospedali ed al territorio si evolve la figura dell’infermiere da custode carceriere ad una figura che ha funzioni terapeutiche all’interno dell’equipe assistenziale.

La fine della funzione di custode e carceriere è in parallela concomitanza con l’abrogazione degli articoli 714-715 e 717 del cp che concernevano la custodia dei malati di mente e punivano l’omessa denuncia degli esercenti le professioni sanitarie che avevano assistito o esaminato malati mentali; soprattutto l’articolo 715 cp abrogato puniva l’inosservanza degli obblighi di custodia delle persone ricoverate in manicomio. Di questa sanzione gli infermieri erano i principali destinatari.

 

L’evoluzione della professione, l’abrogazione del mansionario, il passaggio dalle scuole alle aule universitarie ha permesso lo sviluppo della figura infermieristica, oggi per la psichiatria esistono master di approfondimento.

 

Ma se con la legge 180 cessa la funzione di custodia a carico dell’infermiere, come ci si pone di fronte ad i comportamenti autolesionisti e suicidari dei pazienti, quale responsabilità?

Una significativa pronuncia del Tribunale di Brindisi ha escluso la responsabilità del personale infermieristico in seguito ai ripetuti episodi suicidari dei pazienti ricoverati, seppure con qualche contraddizione.

La sentenza specifica che “l’infermiere non è il custode dei pazienti”, e sostituisce all’obiettivo dell’incolumità del paziente quello del recupero della malattia mentale, anche se questo può comportare qualche rischio sul piano dell’incolumità fisica del paziente, ponendo come obiettivo un bilanciamento degli interessi che propendono verso il recupero della malattia.

La contraddittorietà della pronuncia del Tribunale la si evince poi dalla seguente dichiarazione “a scanso di equivoci è il caso di chiarire che gli infermieri del reparto di psichiatria non sono attualmente liberi da ogni compito di vigilanza. Essi sono tenuti anche ora a prestare assistenza ai malati, adeguata alla malattia”.

Si evince quindi che sì l’infermiere non ha più l’obbligo della custodia ma, questa intesa come sorveglianza deve essere maggiore quando, in base alla patologia si possa prevedere un comportamento suicidario o autolesivo.

Per quanto riguarda la prevedibilità può essere data solo dalla scienza psichiatrica e di conseguenza dalla diagnosi del paziente. La responsabilità della errata diagnosi è esclusivamente medica.

La prevenibilità va valutata caso per caso e va rapportata alla struttura del reparto, alla sua ubicazione, alla presenza di un sistema di chiusura e apertura di porte e finestre, l’aver lasciato al paziente utensili pericolosi, il numero di infermieri in servizio.

Laddove il personale infermieristico abbia messo in atto una sorveglianza compatibile con la prevenibilità dell’evento, a questo non può essere imputata nessuna colpa.

Va da sé che un ruolo importante ce l’ha l’adeguatezza della struttura,  che deve dotarsi di dispositivi di sicurezza, allarmi, video a circuito chiuso, ringhiere, infissi di sicurezza e misure assistenziali che evitino il contatto con oggetti pericolosi.

 

 

Da  Aspetti giuridici della professione infermieristica – Luca Benci