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Congedo Maternità: Informazioni, requisiti e le tempistiche per le neo-mamme

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 13/11/2023 vai ai commenti

Previdenza

Nella società odierna, la conciliazione tra la vita familiare e il lavoro è una sfida cruciale per molte famiglie. È per questo che siamo lieti di presentarvi una nuova rubrica sanitaria dedicata alla "Tutela della Maternità e Paternità". Pubblicata ogni lunedì, mercoledì e venerdì a partire da oggi 13 novembre, nella sezione PREVIDENZA, questa rubrica si propone di offrire informazioni e risorse preziose per tutti coloro che cercano di bilanciare le responsabilità familiari con la loro carriera.

 

Congedo Maternità: Informazioni dettagliate sul congedo di maternità, i requisiti e le tempistiche per le neo-mamme.

 

La tutela della maternità è un principio fondamentale sancito dall’art. 37 della Costituzione della Repubblica Italiana che recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

A livello normative il pilastro della tutela alla genitorialità è il D. Lgs. n. 151 denominato “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità” che tutela la donna durante la maternità, garantisce il diritto del bambino ad un’adeguata assistenza da parte di entrambi i genitori e sancisce principi fondamentali quali:

  • il "divieto di discriminazione fondata sul sesso", articolo 3 del TU, che vieta qualsiasi forma di trattamento meno favorevole basata sullo stato di gravidanza, maternità o paternità, inclusi quelli adottivi, nonché la titolarità e l'esercizio dei relativi diritti.
  • il divieto di licenziamento, le donne lavoratrici godono della protezione legale che garantisce la conservazione del loro posto di lavoro per un periodo determinato dalla legge. Questo divieto di licenziamento è in vigore dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino. Tale protezione si estende alle lavoratrici affidatarie o adottive, indipendentemente dal fatto che l'affidamento sia temporaneo o definitivo. Nel caso di licenziamento, la lavoratrice ha il diritto di essere reintegrata nel proprio posto di lavoro entro novanta giorni dal licenziamento, a condizione che presenti una certificazione idonea che attesti il suo stato di gravidanza al momento del licenziamento.

Il divieto di licenziamento non opera nel caso di:

  1. colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa, particolarmente qualificata, tenuto conto delle attenuanti derivanti dalle particolari condizioni psicofisiche;
  2. cessazione dell’attività dell’azienda, o di un ramo di essa nel caso in cui la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni equivalenti;
  3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta, risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine;
  4. esito negativo della prova; va tuttavia tenuto presente che in caso di risoluzione del rapporto di lavoro durante il periodo di prova di una lavoratrice di cui è noto lo stato di gravidanza, è necessario fornire alla stessa spiegazioni dettagliate sulle ragioni che hanno prodotto il giudizio negativo.
  5. Il divieto di licenziamento si estende anche al padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità, per tutta la durata, fino al compimento di un anno di età del bambino

Divieto di adibire le lavoratrici al lavoro notturno

È vietato adibire le lavoratrici al lavoro notturno, dalle ore 24 alle ore 6, per tutto il periodo della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Inoltre non c’è l’obbligo al lavoro notturno:

  • per la lavoratrice madre con un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, per il lavoratore padre convivente con la stessa, per la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni,
  • per la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore nei primi tre ani dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età, o in alternativa ed alle medesime condizioni il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa,
  • per la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della L. 104/92.

Controlli prenatali

Durante il periodo di gravidanza la lavoratrice ha diritto a permessi retribuiti per effettuare esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi vengano eseguiti durante l’orario di lavoro. Per la fruizione di tali permessi la lavoratrice è tenuta a presentare al datore di lavoro apposita documentazione attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami stessi.

 

Diritto al rientro

La lavoratrice e il lavoratore durante i periodi di congedo hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e al termine di rientrare nella stessa unità produttiva, alle stesse mansioni o mansioni equivalenti, nonchè di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi o da leggi e regolamenti, che sarebbero loro spettati durante l’assenza. Il diritto si estende fino al compimento di 1 anno di vita del bambino. Tali disposizioni si applicano anche al lavoratore padre al rientro al lavoro dopo la fruizione del congedo di paternità.

 

Congedo maternità

Per congedo maternità si intende l’astensione obbligatoria dal lavoro per la lavoratrice in maternità, per un totale di 5 mesi.

 

  • 2 mesi antecedenti la data presunta del parto ed il giorno del parto;
  • 3 mesi successivi al parto e in caso di parto avvenuto dopo la data presunta, i giorni compresi tra la data presunta e la data effettiva.

La «flessibilità» del congedo di maternità. La flessibilità del congedo di maternità in Italia ha subito una significativa espansione con l'introduzione di nuove disposizioni nella legge di bilancio del 2019. Originariamente, le donne avevano l'opzione di lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, ma ora è possibile prolungare la permanenza al lavoro fino al nono mese di gravidanza. Questa estensione consente alle lavoratrici di beneficiare appieno dei cinque mesi obbligatori di congedo dopo il parto, a condizione che un medico competente attesti che questa scelta non mette a rischio la salute della madre e del neonato.

Tuttavia, è importante sottolineare che questa flessibilità può essere interrotta in due situazioni chiave. Prima di tutto, se la lavoratrice si ammala durante questo periodo, la permanenza al lavoro dovrà essere interrotta, poiché rappresenterebbe un rischio per la sua salute e quella del nascituro. Inoltre, la lavoratrice stessa può richiedere la sospensione della flessibilità in qualsiasi momento, su sua iniziativa. Questo nuovo approccio mira a garantire che la salute e il benessere della madre e del bambino siano sempre al centro delle decisioni riguardanti il congedo di maternità.

Adozione o affidamento

II congedo di maternità spetta alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre, nei primi 5 mesi successivi più il giorno dell’effettivo ingresso del minore in famiglia anche qualora il minore raggiunga la maggiore età durante il congedo.

La normativa distingue l’ Adozione o affidamento preadottivo internazionale e Affidamento non preadottivo.

Nel primo caso, di affidamento preadottivo internazionale, il congedo di maternità può essere fruito entro i 5 mesi successivi all’ingresso del minore in Italia più il giorno dell’ingresso stesso. Ferma restando la durata massima di cinque mesi, il congedo può essere fruito anche parzialmente, prima dell’ingresso in Italia del minore ed il periodo residuo è fruito anche in maniera frazionata, entro i 5 mesi dal giorno successivo all’ingresso.

 

Nel secondo caso, Affidamento non preadottivo. Qualora il collocamento del minore in famiglia, sia temporaneo, il congedo di maternità può essere fruito, anche in modo frazionato, entro i 5 mesi dalla data di affidamento del minore, per un periodo massimo di 3 mesi. Qualora si fruisca del congedo in occasione del collocamento temporaneo in famiglia, per lo stesso minore non sarà possibile avvalersi di un ulteriore periodo in caso di successivo affidamento pre-adottivo o adozione.

 

Ricovero del neonato e/o minore in affido. In caso di ricovero del neonato o del minore adottato/affidato, in una struttura pubblica o privata, la madre può sospendere il congedo post partum, riprendendo l’attività lavorativa e differendo la fruizione del congedo residuo a partire dalla data di dimissione del bambino. Tale diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio subordinatamente alla produzione di attestazione medica che attesti la compatibilità dello stato di salute della madre con la ripresa dell’attività lavorativa.

Gravidanza a rischio

Con gravidanza a rischio si intende una condizione di salute delicata della futura mamma, che richiede un surplus di cura e attenzione, ma in alcuni casi sfocia addirittura nella necessità di astenersi completamente dal lavoro e stare a riposo.

Esite già un congedo di maternità con il quale si stabilisce una astensione obbligatoria dal lavoro durante il periodo di gravidanza e puerperio – pari a 5 mesi in totale, di solito divisi in 2 mesi prima e 3 mesi dopo, ma con una certa flessibilità (1+4, ad esempio) – ma in caso di gravidanza a rischio questo periodo si estende, a partire dal momento in cui viene diagnosticata. 

Si parla, in questi casi, di maternità anticipata.

Per richiedere l’interdizione dal lavoro per gravidanza a rischio è necessario un certificato da parte di un ginecologo che attesti la condizione di particolare fragilità della donna lavoratrice.

Come stabilito dal D.L. n°5/12, precisamente all’art.15 “misure di semplificazione in relazione alla astensione anticipata dal lavoro delle lavoratrici in gravidanza”, viene disposta l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza:

  • nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
  • quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
  • quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre

Quindi, quando sussiste anche solo una di queste tre condizioni, la donna incinta può richiedere al proprio ginecologo di certificare la condizione di gravidanza a rischio, per poi procedere alla presentazione della domanda all’INPS.

In caso di gravidanza a rischio, invece, il periodo di congedo parte pochi giorni dopo la presentazione della domanda di maternità anticipata.

Per fare domanda non c’è bisogno di altro se non di: 

  • un certificato che attesti la gravidanza in atto; 
  • il certificato medico che dichiari la gravidanza a rischio. Il certificato rilasciato dal ginecologo dell’ASL ha una validità per tutta la durata della gravidanza, mentre quello del medico privato vale solo 30 giorni;
  • un documento d’identità. 

Sarà l’ASL a certificare lo stato della donna lavoratrice in gravidanza, dopodiché è sufficiente presentare la domanda tramite la Direzione territoriale del lavoro di competenza, che dovrà rispondere entro 7 giorni dalla ricezione della documentazione, trascorsi i quali la richiesta è accettata in modo implicito (silenzio-assenso). 

Nel caso in cui la richiesta venga respinta, è necessario comunicare i motivi alla lavoratrice. La lavoratrice ha un termine di 10 giorni successivi alla comunicazione del diniego per presentare ulteriori documenti e osservazioni.

 

Interruzione di gravidanza

L’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione si considera aborto. L’aborto è considerato “malattia” e la lavoratrice si astiene dal lavoro per il tempo necessario al recupero psicofisico prima della ripresa dell’attività lavorativa.

Se l’interruzione di gravidanza si verifica dopo il 180° giorno (compreso) dall’inizio della gestazione o nei casi di bambino nato morto o deceduto successivamente al parto, la lavoratrice ha diritto a cinque mesi di astensione obbligatoria con relativa indennità di maternità, salvo che non si avvalga della facoltà di riprendere l’attività lavorativa.

 

Previdenza

I periodi di astensione dal lavoro sono interamente coperti da contribuzione figurativa e sono considerati utili ai fini della pensione.

A partire dal 31.12.1993 i periodi di astensione obbligatoria, intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerato utili ai fini pensionistici, a condizione che si possano far valere, all'atto della domanda, almeno 5 anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro.

I periodi di astensione facoltativa, sempre dal 31.12.1993, possono essere riscattati dalla lavoratrice (con onere a proprio carico) nella misura massima di 5 anni e a condizione che possa far valere almeno 5 anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro.

 

Trattamento economico

Nei periodi di astensione obbligatoria compete il 100% della retribuzione per i dipendenti dei comparti pubblici e l'80% per quelli privati.