Autonomia differenziata... a rischio la salute infantile?
Il 19 giugno, il governo ha approvato definitivamente la legge sull'autonomia differenziata per le Regioni a statuto ordinario. Questa legge, discussa da decenni, in particolare dopo la riforma del Titolo V del 2001, permette alle Regioni di ottenere più poteri in settori come sanità, istruzione, trasporti ed energia, attualmente gestiti in modo più centralizzato. Prevede inoltre il federalismo fiscale, consentendo alle Regioni di trattenere una quota maggiore delle entrate fiscali raccolte sul loro territorio. In ambito sanitario, mentre oggi lo Stato centrale definisce i livelli essenziali delle prestazioni e distribuisce i fondi, con la nuova legge le Regioni potranno chiedere maggiore autonomia anche nella sanità, pur rispettando i "Livelli essenziali di prestazioni" (LEP), che lo Stato dovrà definire e finanziare entro due anni, un compito complesso e non privo di difficoltà.
Ogni regione interessata dovrà avviare trattative con il governo centrale e stipulare accordi che saranno poi ratificati dal Parlamento. I sostenitori della legge credono che la gestione locale delle risorse permetterà di migliorare l'efficienza e responsabilizzare i politici, mentre i critici temono che possa aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, minando i principi di uguaglianza e universalismo alla base del Servizio Sanitario Nazionale. Le regioni meridionali, con redditi medi più bassi e minore gettito fiscale, potrebbero trovarsi in difficoltà nel garantire livelli di servizio adeguati, se non supportate da adeguate misure di compensazione.
Inoltre, le Regioni autonome potrebbero offrire condizioni economiche migliori a medici e infermieri, attirando il personale sanitario dalle aree svantaggiate a quelle più ricche, aumentando il divario tra le strutture sanitarie. Questo potrebbe portare ad una crescita dei servizi sanitari privati e ad un aumento delle assicurazioni, con conseguente disparità nell'accesso alle cure. Poiché i costi delle cure rimangono a carico delle Regioni di residenza dei pazienti, la migrazione sanitaria dal Sud al Nord rischia di consolidare uno squilibrio sanitario, aggravando ulteriormente le condizioni delle Regioni del Mezzogiorno.
Tra le problematiche attuali si segnalano la mortalità infantile, la migrazione sanitaria, la povertà economica ed educativa, tutte maggiormente diffuse al Sud. La mortalità infantile, ad esempio, registra tassi molto bassi in Italia, ma presenta una differenza rilevante tra Nord e Sud (in Toscana è di 1,6 per 1000 nati vivi, in Calabria sale a 4,2).
Anche la migrazione sanitaria di bambini e giovani dal Sud al Nord è significativa, spinta dalla speranza di cure migliori o dalla carenza di servizi adeguati nella regione di residenza. Il Sud presenta un’alta migrazione sanitaria di bambini e giovani verso ospedali del Centro-Nord, coinvolgendo una percentuale significativamente maggiore di residenti del Sud rispetto al Centro-Nord (11,9% contro 6,9%).
Tale mobilità accentua le disuguaglianze, poiché non tutte le famiglie possono permettersi i costi degli spostamenti, violando così il diritto all'uguaglianza nella tutela della salute sancito dalla Costituzione.
La povertà assoluta, che colpisce oltre due milioni di famiglie italiane, è in aumento e presenta un forte divario geografico. La povertà educativa è particolarmente diffusa al Sud, con un tasso di abbandono scolastico elevato e minori competenze acquisite.
Un recente rapporto del Ministero della Salute evidenzia come, nel 2022, solo 13 Regioni hanno garantito i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con un ulteriore aumento del divario tra Nord e Sud rispetto all'anno precedente.
Questa legge, dunque, potrebbe ampliare ulteriormente il divario tra Regioni, con ripercussioni particolarmente pesanti per i minori del Mezzogiorno. Le Regioni meridionali, già penalizzate da una minore qualità dell'assistenza sanitaria e da carenze in settori cruciali come asili nido, scuole a tempo pieno e aree verdi, potrebbero perdere risorse economiche in settori fondamentali come la sanità e l'istruzione. Per il futuro dell'Italia, sarebbe preferibile una riforma che garantisca parità di accesso ai servizi e diritti per tutti i cittadini, anziché accentuare le disuguaglianze.