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Caso Sara Pedri. Parla un’ostetrica: Minacciata ed insultata dai vertici del reparto

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 21/06/2021

AttualitàCronache sanitarie

Saverio Tateo, primario del reparto di ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento viene messo «a riposo». Da quanto si apprende dalle pagine de Il Corriere di Bologna, questo il primo risultato della commissione d’indagine istituita per delle verifiche interne sul caso di Sara Pedri, la 31enne ginecologa di Forlì scomparsa dal 4 marzo.

Il caso

Sara Pedri, ginecologa,  aveva iniziato a lavorare al reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento a metà novembre 2020, dopo aver conseguito la specializzazione a Catanzaro. In origine, era previsto che la giovane dottoressa entrasse in servizio a Cles, dove infatti si era stabilita, ma poi il reparto era stato riconvertito a causa del Covid.

La permanenza al Santa Chiara, per Sara, sembra essere stata un incubo. Sofferente, dimagrita, terrorizzata, aveva consegnato le dimissioni, quando il 4 marzo scompare nel nulla. Di lei rimane la sua auto ritrovata lungo un ponte e le testimonianze di chi la conosceva. Da un primo quadro della situazione, la sofferenza di Sara è da ricondurre al clima di terrore ed all’ambiente mobbizzante che caratterizzava il reparto di ginecologia nel quale prestava servizio.

«In sala operatoria c’erano ferri chirurgici che volavano verso le persone, anche per un nonnulla. Ginecologi che erano bravi venivano allontanati dalla sala operatoria. Ti fanno sentire una nullità, cercano di trovare lo sbaglio anche se non c’è, pur di metterti in crisi. È il momento di parlare, perché non ci sia un’altra Sara»,

“Sara era terrorizzata – evidenzia la sorella Emanuela, che ha rilasciato una lunga deposizione ai carabinieri di Forlì – e le sue colleghe ci hanno confermato quello che ci diceva lei: turni massacranti, abusi di potere, minacce continue”.

 

Il direttore generale Pier Paolo Benetollo ha quindi avviato l’istituzione di una commissione di indagine interna, della quale il primo effetto è stato quello delle ferie d’ufficio per il primario dell’unità operativa.

 

Il caso che ha scosso la sanità trentina, apre uno squarcio su una coltre d’omertà e di reticenza nel denunciare quanto avveniva al Santa Chiara. La scomparsa di Sara, ha avuto però un effetto dirompente e le voci di denuncia cominciano a levarsi; ultima in ordine di tempo la testimonianza di un’ ostetrica, che sulle pagine de L’Adige, racconta: “ La situazione è questa: incutono paura, minacciano il licenziamento, umiliano. Lo fanno per avere il rispetto del personale. Sono passati anni e la cicatrice è ancora aperta».

 

Preferisce rimanere anonima e non fare nomi: "quelli" che l'hanno giudicata e le hanno causato un profondo disagio personale sono i "vertici" del reparto.

 

«La vicenda di Sara mi spezza il cuore. Io sono stata aiutata dal gruppo delle ostetriche dell'ospedale, un gruppo meraviglioso. Ma concordo con quanto è stato detto. Ci si sente umiliati, mai all'altezza. In più Sara ha iniziato nel periodo del Covid, con ulteriore stress che si aggiunge alla pressione lavorativa - si viene richiamati e, in privato, anche insultati. Mi hanno dato della cretina, mi hanno chiesto se avevo il cervello. Se ne parlava per mesi, l'errore veniva continuamente ricordato. Se la persona è forte e ha un sostegno può andare avanti, ma se il sostegno manca la psiche vacilla”.