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Il demansionamento mortifica l’infermiere che va risarcito. NurSind Chieti vince in tribunale

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La Redazione
Pubblicato il: 13/01/2022 vai ai commenti

AbruzzoLa SentenzaNurSind dal territorio

Finalmente dopo anni è arrivata l'agognata sentenza della Corte Suprema di Cassazione, sesta sezione civile (sentenza n. 00359-22) in merito al Demansionamento Infermieristico. La Corte d'Appello di L'Aquila, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato L'Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo (Lanciano-Vasto-Chieti) ad adibire l'infermiere C.S. Alle mansioni proprie dell'inquadramento posseduto, corrispondenti alla categoria D, appunto con il profilo di infermiere; ha inoltre accertato la dequalificazione subita dal dipendente per il periodo dal luglio 2012 al luglio 2017, condannando la Asl al risarcimento del danno da computarsi nella misura del 10% della retribuzione mensile via via maturata nel periodo, oltre agli interessi dalla domanda giudiziale

In sintesi la Corte non ha condiviso la tesi deficitaria del primo giudice secondo cui non vi sarebbe stata la prova della “prevalenza” dell'espletamento della mansioni inferiori proprie della figura dell'OSS (operatore socio sanitario cat.B) rispetto a quelle infermieristiche; ha infatti osservato, sulla base delle risultanze istruttorie, come “risulta che l'infermiere C.S. Senz'altro negli ultimi 5 anni.....ha svolto, oltre alle sue funzioni professionali, anche ordinatamente e stabilmente tutte le mansioni che sono proprie della figura dell'OSS, non essendo disponibile personale ausiliario in numero sufficiente a garantire le esigenze primarie dei pazienti”. 

La Corte territoriale, poi, circa il danno da demansionamento richiesto, ha ritenuto “provata l'esistenza del danno alla dignità professionale sulla base degli elementi desumibili dagli atti di causa, in considerazione della durata (5anni) per la quale è stata svolta, accanto all'attività corrispondente all'inquadramento professionale, anche l'attività corrispondente all'inferiore inquadramento; alla natura di tale attività ultima attività (prettamente manuale rispetto alla natura intellettuale di quella propria del lavoratore), del fatto che tale attività inferiore viene svolta in presenza di tutti i pazienti che, quindi, vedono l'infermiere svolgere compiti propri di lavoratori inquadrati in categoria inferiore”.

La Corte ne ha tratto il convincimento della prova del danno consistente nella mortificazione dell'immagine e della professionalità dell'infermiere.

L'Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo ha quindi proposto ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione con 3 motivi i quali vengono ritenuti, dalla stessa Corte, inammissibili e di conseguenza viene confermata la sentenza n. 238/19 della Corte d'Appello di L'Aquila.

“Questa sentenza, che risulta essere la prima in Abruzzo, è molto importante per noi del NurSind - dichiarano il segretario territoriale, Dott. Vincenzo Pace ed il coordinatore regionale Dott. Andrea Liberatore - conferma ciò che rivendichiamo da tanti anni; ovvero che la figura dell'infermiere è ritenuta, come tutte le altre figure laureate, una professione intellettuale. Ragion per cui non può più essere tollerabile che, per un mero risparmio economico da parte delle ASL non si assumono gli OSS e si costringono gli infermieri a sopperire in maniera cronica a tale situazione deficitaria. Ringraziamo l'AVV. Enrico Raimondi e, il collega del sindacato USB Dott. Mario Frittelli che si sono adoperati per il successo conseguito”.

In conclusione la giurisprudenza consolida ancor di più che se l'infermiere viene prevalentemente adibito allo svolgimento di mansioni non rientranti nel proprio inquadramento professionale ma, si trovi a svolgere compiti propri del personale con inquadramento inferiore, ovvero OSS, con conseguente mortificazione dell'immagine e della professionalità dell'infermiere, ha diritto ad essere risarcito e ad essere adibito alle proprie funzioni professionali.