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Pillole di Vulnologia: la Fluorescent Light Energy

di Isabella La Puma

Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della Vulnologia e delle tecniche più avanzate già adottate nella pratica clinica. Oggi parleremo della FLE, Fluorescent Light Energy conosciuta fino a qualche tempo fa con il nome di Fotobiomodulazione.

L’utilizzo della terapia a base di luce nella gestione delle lesioni cutanee ha origine già nel diciannovesimo secolo nel trattamento del lupus vulgaris. Alla fine degli anni ’60 comincia l’impiego dei laser a basso dosaggio di luce nelle terapie delle ulcere. Uno dei trattamenti a base di luce più utilizzati e studiati è la Fluorescent light energy (FLE), il cui meccanismo d’azione è legato all’emissione della luce nello spettro della luce blu, in combinazione all’utilizzo di un gel contenente cromofori e sostanze carrier come il perossido d’urea.

I cromofori hanno lo scopo di coadiuvare i processi di riparazione e modulare la luce permettendole di raggiungere diverse lunghezze d’onda. La luce blu raggiunge gli strati più superficiali della ferita (da 450 a 500nm) ed è in grado di controllare la colonizzazione batterica e di ridurre l’infiammazione, per questo motivo i migliori risultati sono stati ottenuti con le ulcere reumatiche e quindi a “origine infiammatoria”. C’è poi la luce verde, che penetra più profondamente nel derma (500-570 nm) e stimola la proliferazione dei fibroblasti e quindi la riepitelizzazione. A raggiungere gli strati più profondi del derma (570-610 nm) è la luce giallo/arancio che coadiuva la neoangiogenesi (Edge et al, 2019). Recenti studi hanno cercato di spiegare il meccanismo biochimico con cui la FLE è capace di ridurre il dolore. La luce impiegata è coinvolta nella diminuzione della produzione di ATP a livello mitocondriale e all’aumento dei livelli di ossigenazione cellulare. La diminuzione dei livelli di ATP mitocondriale è responsabile del fallimento della generazione del potenziale d’azione delle pompe cellulari (N+,K+-ATPase) che blocca la trasmissione del dolore a livello delle fibre nervose (Ferroni et al, 2020).

La FLE si è dimostrata un’importante opzione terapeutica per le “ferite di difficile guarigione”. Vari clinical trail report ne riportano il profilo di efficacia associandolo alla sicurezza e alla tollerabilità per il paziente, al miglioramento della qualità di vita e al positivo impatto sulla riduzione del dolore. Alcuni studi in vitro e in vivo pubblicati negli ultimi anni stanno portando alla luce i meccanismi biochimici con i quali la FLE agisce a livello mitocondriale supportando con evidenze una pratica clinica sempre più usata nella gestione delle lesioni croniche e non solo (Eureka study, 2017).

Un altro grande potenziale della FLE è la sua semplicità di utilizzo e la possibilità di essere impiegata in contesti domiciliari. Mai come nell’ultimo periodo ci si è resi conto di quanto sia fondamentale pensare ad un’assistenza volta al territorio, capace di portare i migliori strumenti e le più efficaci possibilità di cura direttamente a casa del paziente, alleggerendo il sistema ospedaliero.