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Buoni pasto agli infermieri: a che punto siamo? Dal contratto alle sentenze

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 16/01/2023 vai ai commenti

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Uno dei problemi, che il contratto non ha risolto, è quello relativo al diritto alla mensa ed ai buoni pasto, che ancora viene visto più come un benefit che un diritto soggettivo.

Il criterio storico risale all’art. 29, comma 2 del CCNL del 20 settembre 2001 che prevede il diritto alla mensa “in relazione alla particolare articolazione dell’orario” ma, di fatto, non consente di stabilire, ad esempio e con  assoluta certezza, se un infermiere smontante mattina ha diritto di pranzare in mensa dopo aver timbrato.

Il nuovo contratto comparto sanità 2019/21, come già anticipato, non ha risolto la questione, lasciando ai tribunali, l’onere di dipanare la matassa. Risolvere il “problema” dei buoni pasto, all’interno del contratto, avrebbe voluto dire un onere finanziario aggiuntivo, per delle risorse già centellinate.

Sul diritto alla mensa ed al buono pasto, è entrata in merito più volte la Cassazione, alla quale è stato chiesto di decidere sui ricorsi portati avanti dai dipendenti ospedalieri, di cui alcune promosse da NurSind, con esito positivo.

 

Facciamo quindi un breve sunto, di quanto asserito ad oggi dalla giurisprudenza.

 

La Corte di Cassazione, sez. lav., con la sentenza n. 5547 del 1° marzo 2021 ha deciso che il buono pasto sostitutivo spetta per ogni intervallo di lavoro, anche per i turni notturni, ovvero l’infermiere ha diritto al buono pasto, se impregnato nel turno pomeridiano, festivo e notturno, quando il servizio mensa non è aperto”.

La causa è stata promossa dal NurSind Messina, dove l’Avv. S. Lincon, insieme a P. Quartaronello (segretario amministrativo NurSind Messina) hanno portato brillantemente avanti tutti i tre gradi di giudizio ottenendo tre vittorie contro l’Ospedale Papardo, ottenendo il diritto al buono pasto per i turni di lavoro che superano le 6 ore.

 

Ancora, a pochi giorni dalla stipula della Preintesa del CCNL 2019/21 è stata pubblicata una ulteriore pronuncia della Cassazione relativa ad una vicenda molto complessa nella quale viene, comunque, espresso il principio secondo cui “in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone,  come regola generale, che il lavoratore osservi un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore.

 

A maggio dello scorso anno, NurSind Reggio Calabria, grazie all’avvocato Domenico De Angelis, ha permesso che 7 infermieri, venissero risarciti con una cifra di 13.500 euro, per la mancata erogazione dei buoni pasto, da parte dell’Asp di Reggio Calabria.

Il Giudice, facendo riferimento alle vigenti normative e disposizioni contrattuali, ha condannato l’ASP a riconoscere il buono pasto per ogni turno eccedente le 6 ore di lavoro effettuato tra il 2016 ed il 2021.

 

La più recente Cass. civ. Sez. lavoro, con l’ordinanza 31/10/2022, n. 32113, ha stabilito che Il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto, anche se manca la richiesta della fruizione del servizio mensa. La Corte d'appello di Caltanisetta, a conferma della sentenza del Tribunale di Gela, negava agli infermieri dell'Azienda Sanitaria Provinciale, il diritto a beneficiare, per il periodo 2001/2010, dei buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo (nelle fasce orarie 07/14, 14/21 e 21/07) eccedente le sei ore, sul presupposto che costoro non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa al di fuori dell'orario di lavoro - con interruzione del turno per la pausa pranzo e il prolungamento dello stesso per una durata pari all'operata interruzione - e della non monetizzabilità del pasto.

Secondo la Corte di Cassazione, è  diritto del lavoratore a usufruire della pausa di lavoro, a prescindere dal fatto che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o in fasce per le quali il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno. 

Con tale principio si è affermato che "In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato" (Cass. n. 5547 del 2021; v. altresì Cass. n. 15629 del 2021).

 

Da: Il nuovo CCNL sanità Maggioli Editore