La pericolosità sociale del paziente e delle nostre istituzioni
Si parla sempre della pericolosità sociale del malato psichico e la difesa, da questa pericolosità, si traduce in una “messa in sicurezza” dello stesso presso una struttura (carcere, OPG - ora REMS - comunità, SPDC e così via). Nessuno parla mai, invece, della pericolosità sociale delle nostre istituzioni, della capacità o meno di arrecare danni al malato sia con le nostre scelte politiche, sia con le nostre quotidiane scelte organizzative di amministratori e di professionisti sanitari.
Della pericolosità sociale del paziente è inutile parlarne, poiché sappiamo tutti cosa significa.
Dal Codice Penale: “Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell'articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati […]”, anche se la cosiddetta “pericolosità sociale” della persona affetta da una patologia psichica, stabilita dal giudice in seguito ad una perizia psichiatrica, spesso presenta ampi margini di discrezionalità, come chiaramente afferma Mario Novello (2013) nel suo “Diagnosi psichiatrica e giustizia”, quando parla di categorie “[…] arcaiche di pericolosità sociale, obsolete e superate, espressione di un mondo politico, culturale e giuridico totalitario, non più idonee a rappresentare l’attuale realtà del diritto, delle istituzioni e della cultura giuridica e civile, e dovrebbero essere drasticamente abbandonate […]”.
Ma non è su questo aspetto che mi voglio soffermare, bensì sul secondo elemento presente nel titolo, ovvero sulla pericolosità sociale delle nostre istituzioni, degli amministratori e di tutti noi professionisti.
Senza addentrarmi nella notte dei tempi, comincerei dal 1978, l’anno della grande riforma psichiatrica, quella basagliana, quella che ci invidia il mondo intero, quella che ha permesso la chiusura dei manicomi. L’Italia, che è un Paese ad alta emotività espressa, si dichiarò fiera e orgogliosa della messa al bando di quei luoghi di tortura che erano gli ospedali psichiatrici dell’epoca, salvo pentirsene poco dopo (passato lo slancio emotivo) dando la colpa agli stessi ispiratori della riforma (poco prima osannati) per il fallimento dell’operazione.
Quindi gli eroi sono finiti, in poco tempo, martirizzati.
Questo è un fenomeno tipico del nostro Paese, basti pensare alla recente pandemia: medici e infermieri applauditi dai balconi delle case e, l’anno dopo, crocefissi come complici di un sistema sanitario corrotto.
Tornando a Basaglia e colleghi, da quarant’anni il popolo ripete il tormentone dei poveri pazienti liberati dal manicomio ma lasciati al loro destino, soli e mal assistiti oppure riconsegnati alle loro famiglie, anche loro sempre più sole.
Unici colpevoli, gli ispiratori della favolosa, innovativa e democratica rivoluzione di cui sopra.
In realtà, la verità sta da un’altra parte: i pazienti e i loro familiari lasciati al loro destino sono vittime non già di una moderna riforma psichiatrica, ma delle scelte scellerate, fatte di continui tagli alle risorse, operate da alcuni Governi, soprattutto negli ultimi vent’anni.
In verità, la responsabilità è degli amministratori regionali, soprattutto dopo la regionalizzazione della sanità, che hanno spesso puntato sugli ospedali (il regno dei baroni della medicina) e poco sul territorio. Oppure, come è successo e sta succedendo in Lombardia, aprire al privato che nella psichiatria (in particolare quella del territorio) vede poche possibilità di profitto.
In verità, la responsabilità è di ognuno di noi, quando per pigrizia abbiamo esportato i nostri modelli manicomiali sul territorio (il manicomio non è nei muri o nei nomi di alcune strutture, ma è un modello presente nelle nostre teste), oppure quando ci siamo lasciati sedurre dalla medicina organicista e abbiamo lasciato, legata ad un guinzaglio, in autostrada, quella fenomenologica. Quando sotto la maschera della terapia, della cura e della riabilitazione, nascondiamo le torture quotidiane che, per pudore, non amiamo raccontare.
E ora, dopo la legge 81 del 2014, quella che ha chiuso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) la storia si sta ripetendo: chi sta sbagliando? Chi ha promosso la legge di riforma o i governi, nazionali e locali, che la devono applicare?
Oggi il pericolo è ancora più grande, poiché non si liberano solo i “folli”, ma si liberano i “folli rei”, quelli considerati “socialmente pericolosi”.
Ma siamo sicuri che l’unico pericolo da affrontare ce lo abbiamo di fronte?
O non conviene cominciare a guardarsi un pochino le spalle?