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Infermiere non è un jolly: risarcita per demansionamento e danno d'immagine

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 09/05/2025

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

 

Una pronuncia che segna un precedente importante: il rispetto dell’inquadramento professionale non è derogabile, nemmeno in caso di carenza di personale. Lo dice la Suprema Corte.

Con l’ordinanza n. 12139 dell’8 maggio 2024, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – ha accolto il ricorso di un’infermiera che per anni era stata sistematicamente impiegata in mansioni inferiori, tipiche dell’operatore socio-sanitario (OSS), in violazione del proprio profilo professionale e contrattuale. Una sentenza che rafforza la tutela contro il demansionamento nel settore sanitario e richiama le strutture a una gestione rispettosa delle competenze professionali.

Il caso: infermiera trattata come OSS

La ricorrente, infermiera regolarmente assunta da una cooperativa sociale, ha dimostrato che per un lungo periodo era stata assegnata in modo prevalente a compiti quali:

  • rifacimento dei letti,

  • igiene personale degli assistiti

  • somministrazione dei pasti

  • riordino ambientale.

Tutte attività fondamentali nell’assistenza quotidiana, ma non riconducibili alle competenze infermieristiche previste per il suo inquadramento. In sostanza, le sue mansioni erano quelle tipiche di un OSS.

Le sue ripetute segnalazioni interne erano rimaste inascoltate. Dopo il licenziamento, aveva avviato un giudizio per il riconoscimento del demansionamento professionale e del danno da dequalificazione.

Le motivazioni della difesa

La cooperativa datrice di lavoro si era difesa sostenendo che l’assegnazione a mansioni inferiori era:

  • temporanea

  • giustificata da esigenze organizzative

  • dovuta alla carenza cronica di operatori socio-sanitari

  • funzionale al buon andamento del servizio di assistenza.

La Corte d’Appello aveva accolto questa linea, ritenendo che il comportamento datoriale fosse giustificato in un’ottica di flessibilità.

La Cassazione ribalta tutto

La Suprema Corte non ha condiviso questo approccio. Ha ritenuto fondato il ricorso dell’infermiera e ha affermato alcuni principi netti:

“La modifica peggiorativa delle mansioni, protratta nel tempo e priva di causa oggettiva giustificativa, configura una violazione dell’art. 2103 c.c. e produce un danno risarcibile per la lesione dell’identità professionale.”

In particolare, la Cassazione ha:

  • riconosciuto che le mansioni assegnate erano inferiori rispetto all’inquadramento infermieristico;

  • rigettato la giustificazione delle “esigenze organizzative”, che non possono prevalere sulla tutela della professionalità

  • stabilito che il datore di lavoro ha l’onere di provare la necessità, eccezionalità e temporaneità del mutamento di mansioni, e che ciò non risultava in questo caso

  • sancito il diritto della lavoratrice a un risarcimento per danno professionale e morale, rinviando alla Corte d’Appello per la sua quantificazione.

Un precedente che riguarda tutto il comparto sanitario

Questa ordinanza ha un valore ampio per il mondo infermieristico. Conferma che l’inquadramento professionale non può essere svuotato nei fatti: non basta che il contratto dica “infermiere” se poi il lavoratore è trattato come OSS.

Nelle strutture sanitarie, pubbliche o private, capita spesso che gli infermieri vengano utilizzati per “coprire i buchi” lasciati dalla carenza di personale di supporto. Ma questa pronuncia dice chiaramente che il datore di lavoro non può risolvere i problemi organizzativi scaricandoli sui professionisti, compromettendone ruolo e dignità.

Le ricadute giuridiche e pratiche

Dal punto di vista giuridico, il messaggio della Cassazione è duplice:

  1. Il demansionamento è illecito anche se motivato da ragioni pratiche.

  2. Il danno professionale è risarcibile, anche in assenza di una lesione economica immediata, se viene dimostrata la sistematica dequalificazione.

Professionalità non negoziabile

L’ordinanza n. 12139/2024 segna una linea netta: l’infermiere è un professionista con un profilo ben definito. Non può essere usato come jolly per compensare disfunzioni di sistema. La dignità professionale non è sacrificabile sull’altare dell’efficienza.

La sentenza è un richiamo forte anche per le organizzazioni sindacali, le direzioni sanitarie e gli enti formativi: valorizzare la professione infermieristica significa anche difenderla dagli abusi quotidiani.