Infermiera a processo per circonvenzione di incapace. La rettifica e difesa dell’avvocato
Due settimane fa, avevamo dato notizia dell’infermiera che era finita a processo per essersi fatta intestare un costoso appartamento dal valore di 2 milioni e 600 mila euro nel centro storico di Roma, una polizza vita da tre milioni di euro e una paghetta di 125 euro a settimana. Clicca qui per saperne di più
Ieri, alla nostra redazione, è arrivata la smentita dell’avvocato della donna, Carmelo A. Pirrone, che ha spiegato quanto segue:
"A seguito delle pubblicazioni su varie testate giornalistiche, deve sottolinearsi che sono state trascurate importanti e documentate circostanze processuali e di fatto.
La vicenda, prima di tutto, trae spunto da un rapporto affettivo, quello tra Antea Retta e il defunto Ing, Di Carlo, iniziato nel 2002, che si è sviluppato nell’ambito di una convivenza paterna - filiale, continuata ed ininterrotta per circa 13 anni. Nel corso del 2013, come riferito dalle persone offese in dibattimento, è avvenuta una scissione societaria tra la zio (l’imprenditore) e i nipoti, che testimonia un evidente distacco tra le attuali persone offese e il facoltoso zio. Lo stesso aveva, evidentemente, poi inteso estrometterli dalla sua vita e dai suoi lasciti testamentari.
Il testamento oggetto della “querelle”, per altro verso, è stato redatto avanti ad un importante notaio romano, corredato da due certificazioni mediche che attestavano la sanità mentale dell’imprenditore al momento della disposizione testamentaria (circostanza documentale).
Deve notarsi inoltre, che la posizione processuale dei medici - ormai prescritta - è disgiunta dall’azione della Retta, perché non risultano imputati in concorso.
Come avrebbe potuto, quindi, la Retta commettere un reato senza l’ausilio degli altri soggetti (non chiamati appunto in concorso nel reato), che hanno partecipato alla vicenda testamentaria?
Vi è da sottolineare a gran voce, che nel parallelo giudizio in sede civile, presso il Tribunale di Roma, è stata svolta e depositata la consulenza tecnica disposta dal giudice, che ha eliminato ogni dubbio sulla capacità di intendere e di volere del Di Carlo al momento del testamento, ovvero ha stabilito che non vi sono elementi per considerare il testatore incapace di disporre dei propri beni.
Tale ultima circostanza è fondamentale, in quanto - sancita per atto pubblico del tribunale e non con perizia di parte - chiarisce in modo perentorio i contorni della vicenda.
Del resto il Di Carlo, al momento dei fatti, risultava essere in possesso di patente di guida e, soprattutto, di regolare e rinnovato porto d’armi, a riprova del suo stato di piena coscienza e sanità mentale.
Resta inteso che la mia assistita sta valutando le dichiarazioni indizianti trascritte, rese dai testimoni nel processo penale - e sottolineate dal giudice procedente - ai fini della proposizione delle relative denunce querele."