Il mobbing è riconosciuto dall’INAIL come malattia professionale?
Nel mondo frenetico dell'assistenza sanitaria, il benessere dei nostri professionisti è fondamentale per garantire la migliore cura ai pazienti. Purtroppo, il mobbing, o bullismo sul luogo di lavoro, è un problema che colpisce in modo significativo il personale sanitario.
Da oggi nasce una nuova rubrica con l'obiettivo di affrontare apertamente questa sfida critica, offrendo risorse, informazioni e supporto a coloro che potrebbero essere coinvolti.
In "Affrontare il Mobbing Sanitario,"esploreremo ogni aspetto di questo problema, dal riconoscimento dei segnali precoci all'adozione di misure preventive e alle procedure di denuncia. Inoltre, condivideremo storie di successo e consigli pratici per aiutare i professionisti sanitari a superare le sfide legate al mobbing.
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Il fenomeno del mobbing, ormai riconosciuto come una forma di violenza psicologica sul luogo di lavoro, non solo compromette la salute mentale dei lavoratori coinvolti ma genera anche gravi sequele fisiche. Una domanda cruciale emerge: queste conseguenze, così pesanti e diffusive, sono riconosciute come malattia professionale?
Sequele Psicologiche: Il mobbing può scatenare una serie di sequele psicologiche che influenzano negativamente la vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Tra queste, il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e il Disturbo Dell'Adattamento (DDA) emergono come complicazioni significative. Il DPTS porta ad evitare situazioni legate al lavoro, incubi, ansia e depressione, mentre il DDA si manifesta in risposte meno intense ma comunque dannose. Entrambi possono causare disturbi dell'attenzione, dell'ansia, e disturbi alimentari, contribuendo ad aumentare il livello di stress.
Dipendenze e Rischi Associati: La vittima di mobbing, nel tentativo di far fronte allo stress, può sviluppare dipendenze da farmaci, tabacco e alcool, aumentando così il rischio di incidenti sul lavoro e comportamenti autodistruttivi come il suicidio. Queste dipendenze aggravano ulteriormente la situazione, contribuendo a un declino generale della salute mentale e fisica.
Impatto sulla Salute Fisica: Le conseguenze fisiche del mobbing sono altrettanto gravi, con ripercussioni su vari sistemi del corpo. Problemi gastrointestinali come gastrite, colite ulcerosa e ulcera peptica sono comuni, così come disturbi cardiocircolatori (tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica) e respiratori (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria). Il sistema urogenitale può essere compromesso, con dolori mestruali, impotenza ed altri disturbi. La pelle, i muscoli e le articolazioni subiscono alterazioni, con la comparsa di condizioni come la psoriasi, l'acne e l'artrite.
Malattia professionale e INAIL
Non si può quindi escludere che il mobbing sia in molti casi un fattore scatenante di somatizzazioni e di psicopatologie ad origine multifattoriale che, per il loro stesso modo di manifestarsi e per la loro presunta origine lavorativa, ben potrebbero rientrare tra le c.d. “tecnopatie”.
Per la stessa ragione, lo stesso D.P.R. 22 maggio 2003, con il quale è stato approvato il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, inseriva nell’Allegato 4/12 - 4.9 “Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro” - Tabella 3B (Patologie da rischi emergenti), le “patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out, mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari)”.
L’Inail con la circolare n. 71 del 17/12/2003 tenta di inserire il mobbing tra le malattie professionali tabellate, ossia malattie in relazione alle quali si presume il nesso causale tra evento e causa derivante dalla attività lavorativa, riconoscendo dunque il mobbing quale malattia professionale indennizzabile parlando di costrittività organizzativa, ovvero:
- esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative di riqualificazione e aggiornamento professionale;
- prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psicofisici;
- inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
- prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto;
- mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata;
- impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;
- esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo;
- mancata assegnazione degli strumenti di lavoro.
- marginalizzazione dalla attività lavorativa;
- ripetuti trasferimenti ingiustificati;
- svuotamento delle mansioni.
A distanza di pochi mesi dall’emanata circolare (con decreto del 27/04/2004) il Ministero del Lavoro si occupò dell’individuazione delle malattie per le quali è necessaria la denuncia del medico (art. 139, D.P.R. 30/06/1965 n. 1124 – testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), inserendo nel novero delle malattie, la cui origine lavorativa è di limitata probabilità, quelle psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro.
Sia la circolare Inail n. 71/2003 – avente ad oggetto i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro (c.d. mobbing), il relativo rischio e diagnosi di malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative pratiche – sia il D.M. 27/04/2004, laddove nel formulare l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia, ha inserito anche il gruppo delle “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzione del lavoro”, sono state impugnate. In entrambi i casi, lares controversa si è incentrata sull’opposizione che il c.d. mobbing, attraverso vari mezzi, assurga a malattia tipizzata indennizzabile in assenza di definizioni scientifiche certe.
Per tali motivi la circolare Inail n. 71/2003, impugnata da Confindustria innanzi al T.A.R. Lazio, ha annullato la circolare n. 71/2003 dell’Inail sulla c.d. costrittività organizzativa nei luoghi di lavoro (c.d. mobbing), che connette l’insorgere di malattie psichiche o psicosomatiche a determinati fattori di nocività, prescindendo dalla necessità di dimostrazione del nesso di causalità, che inquesti casi grava sul lavoratore (T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 4 luglio 2005, n. 5454). Sentenza del Tar, confermata poi dal Consiglio di Stato.
Per cui no, Il mobbing non può essere considerato in via automatica come una malattia professionale e in quanto tale indennizzabile dall’INAIL, dovendo sempre essere provata l’esistenza della causa di lavoro.
Attualmente non esiste una legge specifica contro il Mobbing. In assenza di tale legge numerose sentenze sono state emesse a favore dei lavoratori ed altre si sono concluse sfavorevolmente, ma sono comunque servite a fissare i parametri secondo i quali si può parlare di Mobbing:
- a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo;
b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Leggi a difesa del lavoratore
Costituzione
Art. 32 comma 1 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Art. 41 comma 1 L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Codice civile
Art. comma 2087, Tutela delle condizioni di lavoro. L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Art. comma 2103, Mansioni del lavoratore. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Articoli precedenti:
Il mobbing nel contesto infermieristico. Cause e conseguenze