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Salute e sostenibilità: l'alimentazione

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 12/01/2024 vai ai commenti

Attualità

La salute, il benessere e la sostenibilità sono strettamente interconnessi: secondo l’Obiettivo di sviluppo sostenibile n. 3 delle Nazioni Unite “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” è fondamentale proteggere il nostro pianeta per garantire la prosperità globale, promuovendo una vita sana e uno sviluppo socio-economico basato sull’utilizzo sostenibile delle risorse ambientali.

Con questa rubrica vogliamo approfondire il connubio “salute e sostenibilità” e comprendere il ruolo degli infermieri nel promuoverne i principi.

La serie di articoli sarà così composta:

1) Ambiente

2) Alimentazione

3) Inquinamento

4) Mobilità

5) Consumi

6) Tutela dei lavoratori

 

  1. Alimentazione

Un’alimentazione sana fa bene anche all’ambiente: dalla produzione alla tavola, le scelte che facciamo possono contribuire a ridurre le emissioni di CO2. Una dieta equilibrata e quindi delle scelte alimentari sostenibili sono salutari non solo per noi stessi ma anche per il pianeta in cui viviamo.

La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, definisce l’alimentazione sostenibile come un’alimentazione a ridotto impatto ambientale che soddisfa le linee guida nutrizionali dal punto di vista economico, dell’accessibilità e dell’accettabilità culturale.

Stiamo parlando di una scelta sostenibile che permette di mangiare bene, stare meglio e gravare meno sul benessere del pianeta: scegliere cibi che tutelano le risorse ambientali permette di ridurre gli sprechi, minimizzare il consumo di acqua, suolo ed energia e prediligere la sicurezza nutrizionale rispettando la biodiversità.

Per far sì che la sostenibilità alimentare diventi parte della quotidianità, è importante che siano adottati alcuni comportamenti necessari a determinare la salubrità dell’ambiente: la responsabilità dei consumatori, in questo caso, è fondamentale.

La sostenibilità alimentare si fonda, sostanzialmente, su tre principi: consumare meno cibo, sprecare meno alimenti e privilegiare nelle nostre scelte i prodotti vegetali rispetto a quelli di origine animale.

Consumare meno cibo

Nonostante in una porzione importante del pianeta la denutrizione sia ancora una realtà, il sovraconsumo alimentare è molto diffuso nel mondo. Comprare il necessario, aiutandosi con una semplice ma utilissima lista della spesa, è un aspetto fondamentale per non buttare via nulla e dare il giusto valore ad ogni singolo alimento. I cibi sostenibili vengono dal vicino territorio, sono acquistati nella giusta misura, secondo stagionalità e freschezza: una caratteristica che, oltre all’ambiente, fa bene anche allo smaltimento dei rifiuti. Comprare sfuso, ad esempio, permette di ridurre le confezioni e ottimizzare il packaging da smaltire. Un circolo virtuoso che si muove verso la sostenibilità in ogni aspetto della vita. Dal cibo che mangiamo ai rifiuti che produciamo.

Sprecare meno alimenti

Nel 2022, anno di ripresa post pandemia, abbiamo gettato 75 grammi di cibo al giorno, ossia 524 g settimanali, poco più di 27 chili di cibo l’anno a persona.

Un dato che si accentua a sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana). Sprechiamo 1 kg l’anno di frutta e poco meno di 1 kg di pane. Nella hit nefasta degli sprechi anche insalata, verdure, aglio e cipolle. Vale 6,5 miliardi di euro lo spreco del cibo nelle case e oltre 9 miliardi di euro lo spreco di filiera, dai campi alle case. Eppure, sempre in Italia, oltre 2,6 milioni di persone faticano a nutrirsi regolarmente a causa dell’aumento dei prezzi e dei rincari delle bollette e il 9,4% della popolazione versa in condizione di povertà.

Il problema dello spreco alimentare è riconosciuto come uno dei più gravi paradossi dell’attuale sistema di produzione del cibo. In un mondo dove ancora oggi la sicurezza alimentare non è garantita per tutti, se si riducessero le perdite o gli sprechi alimentari si potrebbe garantire più cibo per tutti, ridurre le emissioni di gas serra (lo spreco è responsabile del 10% di “inutili” emissioni di gas serra) e allentare la pressione sulle risorse naturali, in particolare il consumo di acqua e di suolo, per aumentare la sostenibilità dei nostri sistemi di produzione e delle nostre società.

Privilegiare i prodotti vegetali

Nel recente meeting annuale della American Society of Human Genetics tenuto a Boston in autunno è stata messa in evidenza una scoperta che ribadisce per l’ennesima volta l’importanza dell’alimentazione per la prevenzione dei tumori e i danni che un eccesso nel consumo di carne porta con sé.

Carne in generale e carne rossa in particolare, che come risaputo da tempo aumenta considerevolmente il pericolo di cancro del colon-retto quando se ne abusa, quando se ne fa un consumo abituale e quando il consumo avviene sottoforma di carni lavorate e conservate.

Ma, al di là di questo particolarissimo aspetto legato alla salute, è sempre bene ridurre al minimo il consumo di carne e prodotti derivati. Per coloro non vogliono rinunciare a includere carne nella propria dieta, raccomando di cercare di acquistare da carne da allevamenti estensivi, meglio se certificata biologica. L’acquisto diretto in fattoria o attraverso associazioni e mercati contadini può essere un modo per lasciare più valore aggiunto presso sistemi locali di produzione estensivi e sostenibili.

Recentemente, un allarme sui rischi per la salute dell’uomo, la società e l’ambiente legato agli allevamenti intensivi è stato lanciato dall’ISDE, l’Associazione Medici per l’Ambiente. In un apposito position paper sono stati analizzati gli allevamenti intensivi e biologici, per fornire delle indicazioni utili ai decisori politici sulle forme di zootecnia più sostenibili nell’ambito della strategia di sostenibilità del Green Deal europeo.

In particolare, i danni degli allevamenti intensivi identificati dall’ISDE sono:

  • rischio di zoonosi, in quanto l’alta concentrazione di animali in un luogo ristretto aumenta il rischio di malattie, alcune delle quali possono passare agli essere umani;
  • contribuzione allo sviluppo della resistenza antimicrobica, poiché gli animali hanno difese immunitarie basse e richiedono un utilizzo ingente di medicinali, con il rischio dello sviluppo di nuovi virus resistenti agli antibiotici;
  • sottrazione di risorse alimentari ad uso umano, a causa della necessità di dedicare grandi appezzamento di terra alla coltivazione del mangime per gli animali, sottraendo terreno fertile e risorse all’alimentazione umana;
  • impatto ambientale delle coltivazioni per gli animali, con la FAO che denuncia questa pratica insostenibile che provoca da un lato problemi di obesità e dall’altro milioni di persone denutrite senza accesso al cibo;
  • consumo d’acqua eccessivolegato a tutti gli animali allevati, a prescindere dalla tecnica utilizzata;
  • inquinamento idricoche risulta direttamente proporzionale rispetto al numero di animali allevati;
  • consumo di terreni e deforestazione, due fenomeni che aumentano le emissioni di gas serra e degradano il suolo;
  • riduzione della biodiversitàe alterazione delle biosfera;
  • emissioni di gas climalteranti che contribuiscono al riscaldamento globale e accentuano il cambiamento climatico;
  • effetti negativi sulla pesca in mare e l’acquacoltura, a causa dei danni provocati agli ecosistemi acquatici e marini.

Ruolo dell’infermiere

Ad esempio, partirei proprio da una riflessione sull’Associazione appena citata: i medici si attivano, anche in articolate forme associative, per l’ambiente e il motto dell’ISDE è “Tutti noi siamo responsabili per l’ambiente. I medici lo sono due volte”. E gli infermieri? Pensiamoci…

Per quanto riguarda l’alimentazione e il nostro ruolo attivo durante l’esercizio professionale, possiamo agire dal punto di vista educativo (con paziente e caregiver, sia durante la degenza che durante le visite domiciliari) ma anche per condizionare le politiche aziendali: un’iniziativa interessante potrebbe essere quella di sostituire l’acqua nelle bottiglie di plastica con l’acqua del rubinetto opportunamente filtrata. Ma anche lottare perché le mense offrano sempre un’alternativa vegetale ai piatti, troppo spesso sempre e solo a base di carne e derivati.