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Salute e sostenibilità: l'ambiente

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 09/01/2024 vai ai commenti

Professione e lavoroStudi e analisi

La salute, il benessere e la sostenibilità sono strettamente interconnessi: secondo l’Obiettivo di sviluppo sostenibile n. 3 delle Nazioni Unite “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” è fondamentale proteggere il nostro pianeta per garantire la prosperità globale, promuovendo una vita sana e uno sviluppo socio-economico basato sull’utilizzo sostenibile delle risorse ambientali.

Con questa rubrica vogliamo approfondire il connubio “salute e sostenibilità” e comprendere il ruolo degli infermieri nel promuoverne i principi.

La serie di articoli sarà così composta:

1) Ambiente

2) Alimentazione

3) Inquinamento

4) Mobilità

5) Consumi

6) Tutela dei lavoratori

 

  1. Ambiente

Un ambiente sano e il benessere ambientale sono la premessa indispensabile per la salute e il benessere dell’uomo. Deforestazione, cambiamenti climatici, riscaldamento globale, inquinamento atmosferico e inquinamento dell’acqua e scarsa biodiversità minano il nostro ecosistema causando gravi danni alla salute umana.

L'esposizione ai contaminanti presenti nell’aria (oltre che nell’acqua, nel cibo e nel suolo) può avere effetti nocivi sulla salute umana. La salvaguardia della qualità dell’ambiente in cui si vive consente, quindi, di ridurre i fattori di rischio per la salute umana.

La consapevolezza del rischio per la salute determinato dall’inquinamento atmosferico esterno è cosa nota, mentre è difficile pensare che una cattiva qualità dell’aria negli ambienti chiusi possa essere causa di possibili rischi per la salute ed incidere sulla qualità della vita.

Ci occuperemo, in questo articolo, appunto dell’inquinamento più insidioso: quello indoor.

L’inquinamento degli ambienti di vita confinati o “inquinamento indoor” si riferisce alla presenza di contaminanti fisici, chimici e biologici nell’aria degli ambienti chiusi di vita e di lavoro non industriali e in particolare di tutti i luoghi confinati adibiti a dimora, svago, lavoro e trasporto. Con il termine “indoor” si intendono pertanto le abitazioni, gli uffici pubblici e privati (ospedali, scuole, uffici, caserme, ecc.), le strutture commerciali (alberghi, banche, e così via), i locali destinati ad attività ricreative e/o sociali (cinema, bar, ristoranti, negozi, strutture sportive, e così via) ed infine i mezzi di trasporto pubblici e privati (auto, treno, aereo, nave, e così via).

Gli agenti che possono agire singolarmente o combinati con altri fattori determinando una diminuzione del confort ambientale ed un rischio per la salute, sono di tipo chimico (composti organici e inorganici), fisico (radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, rumore e vibrazioni), biologico (microrganismi, muffe, acari).

L’inquinamento indoor, spesso, è di gran lunga superiore rispetto a quello esterno. Aggiungendo l’evidenza che nei paesi industrializzati la maggior parte delle persone trascorre fino al 90% del proprio tempo in ambienti chiusi, risulta chiara l’importanza di dover controllare l’inquinamento nelle nostre case e nei luoghi di lavoro.

Inquinamento chimico

Uno studio scientifico americano ha mostrato che i prodotti chimici volatili (VCP), contenuti nei prodotti per la pulizia personale e nei detersivi, costituiscono metà delle emissioni di VOC (composti organici volatili) dei combustibili fossili nelle città industrializzate, una quantità enorme che si trova direttamente nelle nostre case e nei luoghi di lavoro.

L’evidenza che prodotti chimici contenuti nei comuni detersivi siano pericolosi la possiamo avere, oltre che dal buonsenso, da uno studio norvegese che ha monitorato 6235 persone per oltre 20 anni. Il risultato dimostra che le persone esposte a sostanze chimiche, sia per lavoro che per le pulizie domestiche, hanno una capacità polmonare ridotta che rimane compromessa per 10-20 anni dopo l’esposizione. In particolare le donne che si occupano di pulizie a livello professionale sembrano essere più sensibili rispetto agli uomini verso l’esposizione agli agenti chimici contenuti nei detersivi. Addirittura la riduzione dell’attività polmonare è paragonabile a quella causata dal fumo di 10-20 pacchetti di sigarette l’anno.

Un altro studio americano analizza 1538 articoli scientifici in cui vengono misurate 172 sostanze chimiche appartenenti a 5 classi diverse, tra queste troviamo: ritardanti di fiamma (RFR), ftalati, sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) e le fragranze sintetiche. Analizzando la polvere depositata nelle nostre case, gli scienziati hanno identificato le sostanze chimiche e le classi chimiche che si trovano ai livelli più alti al chiuso (ftalati e fenoli), con le più alte assunzioni (ftalati e RFR) e associati alla maggior parte delle caratteristiche di rischio (ftalati e PFAS).

Inquinamento fisico

Appartengono a questo gruppo le radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, il rumore e le vibrazioni. Qui vorrei concentrarmi particolarmente sul gas radon.

Il radon è un gas radioattivo di origine naturale che si forma nel terreno per il decadimento radioattivo dell’uranio presente nelle rocce. L’isotopo radon (Rn-222) è uno dei prodotti radioattivi della serie di decadimento dell’uranio-238 e la sua caratteristica è di essere l’unico elemento in forma gassosa di questa serie. Il radon può dunque, a differenza degli altri elementi solidi, essere sprigionato dalle rocce, diffondersi nel terreno ed essere quindi inalato negli ambienti di vita.

Negli ambienti chiusi, soprattutto in locali a contatto con il terreno, il radon può concentrarsi raggiungendo concentrazioni anche molto elevate in caso di ridotto ricambio d’aria. Il radon penetra nelle case attraverso crepe, fessure o punti aperti delle fondamenta. Le abitazioni nei seminterrati o al pianterreno sono particolarmente interessate dal fenomeno. Il potere d’emanazione non dipende solo dal contenuto di uranio, ma anche dalle caratteristiche del terreno.

Negli ambienti di lavoro, in Italia, con il Decreto legislativo 26/05/00 n. 241, si è fissato un livello di 500 Bq/metro cubo, superato il quale il datore di lavoro deve valutare in maniera più approfondita la situazione e, se il locale è sufficientemente frequentato da lavoratori, intraprendere azioni di bonifica. La concentrazione di radon deve essere misurata in tutti i luoghi di lavoro sotterranei. Inoltre, le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano) devono fare una mappatura del territorio per individuare le zone più a rischio e in cui è necessario misurare la concentrazione di radon anche nei locali non sotterranei, con priorità per i locali seminterrati e al piano terra.

Anche se non è possibile eliminare del tutto il radon dagli ambienti in cui si vive, ci sono diversi modi (con diversa efficacia) per ridurne la concentrazione nei luoghi chiusi, tra cui:

  • depressurizzare il suolo, realizzando sotto o accanto la superficie dell’edificio un pozzetto per la raccolta del radon, collegato a un ventilatore. In questo modo, si crea una depressione che raccoglie il gas e lo espelle nell’aria esterna all’edificio;
  • pressurizzazione dell’edificio: aumentando la pressione interna, si può contrastare la risalita del radon dal suolo;
  • migliorare la ventilazione dell’edificio.

Fondamentale è, poi, fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante ecc.

Inquinamento biologico

La definizione di “agente biologico” ce la fornisce il D.Lgs 81/08, che lo individua come “qualsiasi microorganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano, che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni”. Il rischio biologico è, di conseguenza, il pericolo connesso alla diffusione di batteri, virus, funghi e relative tossine, capaci di riprodursi e di trasferire materiale genetico per via diretta, ossia mediante ingestione oppure contatto cutaneo, o per via indiretta, mediante trasferimento della carica batterica o virale da un soggetto malato o portatore ad uno sano.

Secondo quanto disposto dalla legge, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare una valutazione del rischio biologico in relazione a quelle attività e condizioni lavorative che possano favorirne l’insorgenza. Tale valutazione deve essere idonea ad identificare le procedure di lavoro più rischiose, gli agenti patogeni in grado di provocare allergie, intossicazioni o patologie, e le malattie che possono essere contratte a seguito dell’infezione.

Inutile affrontare, né tantomeno approfondire, tutte le problematiche sollevate dalla recente (e ancora attualissima) pandemia da Covid-19: credo se ne sia già parlato a sufficienza negli ultimi tre anni; a questo proposito si è già legiferato a sufficienza e sono state messe in atto tutte le misure di sicurezza più appropriate. Ora anche il cittadino più disinformato, rispetto a pochi anni fa, è in grado di utilizzare la mascherina o di evitare luoghi affollati.

Esiste, però, un’altra categoria di pericolo biologico, sia negli ambienti domestici che nei luoghi di lavoro: le muffe, i funghi e le loro tossine.

Spesso accade che alcune zone degli edifici siano soggette alla formazione di condensa, soprattutto sulle finestre e le pareti perimetrali. L’eccessiva umidità e il conseguente fenomeno della condensa sono dannosi per la salute, anche perché portano alla formazione di muffe.

Le muffe sono funghi microscopici che durante la loro crescita producono particelle di piccole dimensioni, dette spore, che si disperdono nell’aria, soprattutto in estate e in autunno. La muffa tende a svilupparsi più rapidamente con un clima caldo e umido e in luoghi poco illuminati, su oggetti e materiali umidi, in umidificatori o sistemi di condizionamento d’aria non sottoposti a regolare pulizia e manutenzione.

La crescita della muffa all’interno degli edifici è un fenomeno legato principalmente al mancato ricambio d’aria indoor, per cui ventilando correttamente il fenomeno sparisce. Ci sono però alcuni fattori che favoriscono la formazione di muffa, ovvero l’umidità e il calore eccessivi.

La formazione di umidità e muffe negli ambienti chiusi è un problema che può presentarsi per svariati motivi, come la presenza di ponti termici o un’eccessiva umidità ambientale. Si manifesta con chiazze sui muri o danni agli intonaci. Il problema dell’umidità non è solo estetico, infatti umidità e muffa sono un potenziale pericolo per la salute.

Respirare muffa può portare a gravi conseguenze sulle vie respiratorie, come le allergie respiratorie, la rinite allergica o alcune forme asmatiche. Può, inoltre, accadere che insorgano problemi come la congiuntivite, l’affaticamento fisico, alcune dermatiti o, ancora, difficolta di concentrazione

Muffa e problemi agli occhi con possibili effetti negativi sulla memoria, vertigini e mal di testa.

Ruolo dell’infermiere

L’infermiere può fare moltissimo, nel campo del benessere ambientale. Possiede le competenze per intervenire in molti degli ambiti sopra descritti, ma può anche segnalare situazioni di potenziale pericolo, come un uso maldestro e/o improprio dei prodotti per la pulizia da parte del personale addetto, la presenza di muffe nei luoghi di lavoro, la mancata osservanza delle norme di sicurezza per quanto riguarda l’uso dei dispositivi di protezione individuale.

Può sollecitare i controlli periodici sulla presenza o meno del gas radon (ricordiamo che molti ospedali si sviluppano, oltre che fuori terra, anche sotto terra), può educare i cittadini sugli stili di vita più corretti all’interno delle mura domestiche (ad esempio l’infermiere di famiglia, ma non solo), può intervenire laddove ritiene più opportuno con la consapevolezza che l’aria che respiriamo, all’interno degli ambienti domestici e di lavoro, rappresenta il 90% di quella che respiriamo complessivamente durante le 24 ore.