Le vostre tesi: Gestione dei detenuti in Doppia Diagnosi
Infermieristicamente aiuta gli studenti con le loro tesi. Pubblichiamo e divulghiamo i vostri questionari in modo da farvi avere più risposte possibili, quindi più dati da utilizzare!
Oggi divulghiamo il questionario di Giovanna, una studentessa del Corso di Laurea Triennale in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. La sua tesi di laurea è incentrata sulla gestione della Doppia Diagnosi nel contesto carcerario e l’obiettivo è raccogliere informazioni utili allo sviluppo di un protocollo specifico per la gestione dei detenuti che presentano contemporaneamente un disturbo psichiatrico e una dipendenza da sostanze.
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce Doppia Diagnosi la condizione clinica in cui coesistono un Disturbo da uso di sostanze ed un disturbo psichiatrico (OMS, 1995).
La coesistenza di malattie psichiatriche e disturbi dovuti al consumo di sostanze stupefacenti non è certamente un fenomeno nuovo. In questi ultimi anni il problema ha acquisito una sempre maggiore rilevanza nell’ambito professionale e politico. Il 35% di coloro che abusano di sostanze riceve nel corso della vita una diagnosi di disturbo dell’umore. Il 32% ed il 47% di soggetti che soffrono rispettivamente di un disturbo affettivo o un disturbo schizofrenico presentano abuso di sostanze. Occorre sottolineare come spesso in letteratura vengono trascurate alcune sottopopolazioni decisamente a rischio per comorbilità. Tra esse, ad esempio, gli adolescenti, le minoranze etniche, le donne e in genere i soggetti con basso status socioeconomico, con disabilità intellettive e coinvolte nel circuito penale. Anche l’ambiente carcerario rappresenta una realtà particolarmente a rischio per lo sviluppo di una doppia diagnosi.
La privazione della libertà personale e l’adattamento in un ambiente restrittivo con ferree regole interne, l’incognita dei compagni di cella e delle dinamiche relazionali cui si va incontro, rappresentano un grave trauma e un significativo elemento di malessere psichico che può evolvere in un grave quadro psicopatologico. È noto che il rischio suicidario sia presente soprattutto nelle prime settimane di detenzione. Può sembrare un paradosso, ma anche a ridosso della scarcerazione, soprattutto nel caso di pene detentive lunghe, si assiste ad un momento di malessere psichico, caratterizzato nella gran parte dei casi dall’ansia di affrontare il rientro nella società con tutte quello che comporta. Detto questo, va annotato che tra gli autori di reato si rileva una maggior prevalenza di persone affette da disturbi psichiatrici rispetto la popolazione generale. Tra i detenuti sono molto rappresentati i disturbi della personalità e tra essi prevalgono i disturbi del cluster B, antisociale, narcisistico, borderline e istrionico.
Questi disturbi sono anche quelli più rappresentati tra le persone affette da abuso di sostanze. Un dato presentato dall’Associazione Antigone nel 2019 rilevava come in un ampio campione di carceri esaminati in Italia vi fosse una media del 36,8% di detenuti con terapia psichiatrica, con una variabilità significativa tra i diversi Istituti. Anche per quanto concerne il disturbo da uso di sostanze il dato epidemiologico rilevato all’interno delle carceri dice che al 31 dicembre 2017 i detenuti tossicodipendenti erano 14.706 su una popolazione ristretta complessiva di 57.608, rappresentando il 25,53% del totale. Parlare di comorbilità come compresenza di disturbo psichiatrico e Disturbo da uso di sostanze in carcere potrebbe sembrare paradossale, considerando che nella struttura non possono in alcun modo essere introdotte sostanze stupefacenti. Ma a essere particolarmente presente è l’utilizzo dei farmaci psicotropi, in primis le benzodiazepine ed in parte gli stabilizzatori dell’umore e gli antipsicotici di seconda generazione. In questo caso gli effetti farmacologici, assolutamente utili e necessari per la cura della sofferenza psichiatrica, possono essere “sfruttati” per ottenere uno stato di alterazione che si avvicini a quello delle sostanze proibite all’interno del carcere.
I modelli di intervento sulla doppia diagnosi fanno riferimento alle tempistiche e alle modalità di rapporto tra Psichiatria e Servizio Dipendenze. Si riconoscono così tre modelli operativi:
• trattamento sequenziale: i pazienti vengono curati inizialmente per i problemi che presentano la maggior gravità e successivamente passati al trattamento degli altri disturbi;
• trattamento parallelo: il trattamento dei due disturbi avviene simultaneamente, i due Servizi specialistici possono essere o meno collegati tra loro, ma gli interventi sono indipendenti e perseguiti secondo i diversi approcci terapeutici;
• trattamento integrato: il trattamento viene fornito in un’unica Sede oppure nei due Servizi, ma all’interno di un programma condiviso tra i Servizi, in cui ognuno mette a disposizione competenze a risorse.
Certamente il trattamento integrato è preferibile agli altri modelli. Anche la letteratura richiama sulla correttezza di questo modello. Nella realtà dei fatti purtroppo sono frequenti interventi sequenziali o paralleli in cui manca completamente una collaborazione tra Servizi e di conseguenza una presa in carico di insieme del paziente.
Appare evidente che la presenza di un gruppo di lavoro o di una equipe multi professionale assume una valenza decisiva sia nella costruzione del percorso terapeutico più idoneo per il paziente che per la tutela della salute dell’operatore. La gestione di pazienti così complessi richiede uno sforzo importante sia al singolo operatore che all’equipe del Servizio volto all’accettazione dei sintomi connessi alla malattia mentale ed alla condizione di dipendenza patologica. La stesura di protocolli rappresenta uno strumento fondamentale per la gestione delle doppie diagnosi, soprattutto in un setting così particolare e complesso come quello carcerario.
Se hai avuto esperienza a riguardo rispondi al questionario per aiutare la nostra futura collega cliccando qui!
Crediti
È possibile la salute in carcere? Il disturbo da uso di sostanze e la comorbilità psichiatrica, la complessità della cura. Giovanni Luca Galimberti,
XV rapporto sulle condizioni di detenzione, a cura di Associazione Antigone, 2019