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Salute mentale, due milioni di persone senza cure. Manacano risorse economiche e personale

Gemma Maria Riboldidi
Gemma Maria Riboldi
Pubblicato il: 10/10/2024 vai ai commenti

Cronache sanitarieStudi e analisi

Trascurata della sanità pubblica, stretta tra risorse economiche scarse, poco personale e una crescita del disagio psichico, la salute mentale è sempre più in affanno, con una preoccupante quota di sommerso, ovvero di italiani che dovrebbero esser seguiti dai servizi di cura e non lo sono, pari a circa a due milioni di persone.

A lanciare l’allarme, in vista della Giornata Mondiale, sono i Dipartimenti di Salute Mentale che, con 150 incontri previsti in tutta Italia, chiedono risorse adeguate e un aumento dell’organico per un rinnovato modello organizzativo e dei rapporti con l’Autorità Giudiziaria, mentre in Senato è stato avviato, con un ciclo di audizioni, l’esame del disegno di legge Zaffini che ha l’obiettivo di riformare l’assistenza psichiatrica sul territorio.

Secondo le stime epidemiologiche, a soffrire di disturbi psichici, sarebbe almeno il 5% della popolazione, pari a circa 3 milioni di persone, percentuale che sale al 10% se si includono anche i disturbi più lievi, come ad esempio gli attacchi di panico.

Le persone con disturbi mentali prese in carico nel 2023 dai servizi sanitari pubblici sono state in Italia oltre 770mila, pari all’1,5% della popolazione. Considerando solamente i disturbi più gravi, c’è un 3,5% di persone, equivalente a oltre due milioni di cittadini, che non ha accesso ai servizi. A pesare è la paura dello stigma, ma anche la difficoltà stessa delle strutture nel prenderli in carico e a pagare il prezzo più alto sono le categorie più fragili. Le fasce sociali più svantaggiate, donne, anziani, ma soprattutto bambini e adolescenti, sempre più vittime delle dipendenze da sostanze, ansia, depressione, e disturbi del neuro-sviluppo che nel 50% dei casi risalgono già alla gravidanza.

I cambiamenti sociali ed epidemiologici degli ultimi decenni e la nascita di nuovi bisogni, come ad esempio il dilagare dell’abuso di sostanze e dei disturbi dello spettro autistico, impongono di rilanciare e ridisegnare i DSM con un modello che includa i servizi per l’età evolutiva e per le dipendenze, presenti solo nella metà dei dipartimenti.

Il Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale, una rete nazionale di 120 direttori, ogni giorno in prima linea e insieme per la prima volta in un organismo unitario, ha lanciato una nuova proposta in rappresentanza delle esigenze e delle difficoltà di tutte le professionalità operanti nei DSM, dei pazienti e dei loro familiari.

Eccola in sintesi:

  • 2 miliardi in più e un aumento del 30% del personale.

Almeno il 5% del Fondo Sanitario Nazionale e Regionale deve essere destinato alla salute mentale, di cui il 2% per l’infanzia e l’adolescenza e l’1,5% per le dipendenze. Per raggiungere il 5%, previsto dalla conferenza unica Stato-Regioni solo per la salute mentale degli adulti, servono almeno 2 miliardi in più, essenziali per garantire l’adeguamento degli organici agli standard ministeriali. Nei DSM, sono presenti circa 25.000 operatori tra psichiatri, psicologi, infermieri e educatori, cioè 55 per ogni 100mila abitanti, oltre il 30% in meno rispetto a quanto previsto dagli standard AGENAS, recepiti in Conferenza Unica Stato-Regioni e sottoscritti dal Ministero della Salute, che prevedono 83 operatori ogni 100mila abitanti.

  • necessario garantire continuità delle cure.

Solo la metà delle regioni garantisce la continuità delle cure tra infanzia ed età adulta per bimbi e ragazzi affetti da disturbo psichiatrico. In Italia, infatti, appena il 12% dei giovani passa ai servizi di salute mentale per adulti, dopo aver raggiunto il limite di età massimo per le cure pediatriche. Va esteso pertanto a livello nazionale l’integrazione tra salute mentale per adulti, dipendenze patologiche e servizi per l’età evolutiva.

  • Psichiatria strumento di cura, non di custodia: urgente creare sezioni psichiatriche nelle carceri e riforma del Codice penale 

Ad oggi Il sistema rischia di usare le nuove residenze, che hanno preso il posto dei manicomi giudiziari, come “svuotacarceri”. Molti detenuti sono assegnati alle REMS per disturbi di personalità antisociali, dipendenza da sostanze, marginalità sociale, che non vanno confuse con le malattie psichiatriche che possono giovarsi di percorsi residenziali nelle strutture. Molti sono gli invii inappropriati sulla base di perizie disinvolte di pericolosità sociale e infermità di mente. Il Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale propone la creazione di sezioni sanitarie specialistiche psichiatriche all’interno delle carceri dove poter effettuare trattamenti sanitari obbligatori (TSO) in conformità con la legge. Inoltre, ci sono in questo campo riforme legislative necessarie, come l’abrogazione dell’articolo 89, relativo al vizio parziale di mente, e dell’articolo 203, sulla pericolosità sociale di tipo psichiatrico.