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Gli infermieri e la 'sindrome della vittima secondaria'. Cos'è?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 14/11/2024 vai ai commenti

FormazioneProfessione e lavoro

La salute mentale è un ambito di lavoro complesso e delicato, che richiede ai professionisti del settore un costante equilibrio tra empatia e rigore tecnico. Tuttavia, spesso ignoriamo che anche questi operatori possano diventare "vittime secondarie" dei traumi dei pazienti e degli interventi che sono chiamati a gestire. Il concetto di "sindrome della vittima secondaria" è stato introdotto dal dottor Albert Wu nel 2000 per descrivere l’impatto psicologico che un evento traumatico legato a un paziente – come un errore o un incidente clinico – può avere su un operatore sanitario. Nonostante sia una realtà riconosciuta in diverse specialità mediche, questo fenomeno è spesso trascurato per quanto riguarda i professionisti della salute mentale, che restano esposti a rischi significativi senza il supporto adeguato.

La vulnerabilità dei professionisti della salute mentale.  La salute mentale è tradizionalmente considerata una specialità a basso rischio in termini di eventi avversi, ma questa convinzione non rispecchia la realtà quotidiana di chi lavora in questo ambito. Gli operatori della salute mentale sono esposti a una varietà di situazioni critiche: errori diagnostici, eventi di somministrazione farmacologica errata, e, non ultimo, il suicidio dei pazienti, che rappresenta uno degli eventi più traumatici e destabilizzanti. Quando questi eventi si verificano, il personale può provare senso di colpa, frustrazione, rabbia, e un grave abbassamento dell’autostima, diventando così vittime secondarie, con una compromissione della loro salute mentale e della loro capacità di prendersi cura dei pazienti.

Le sfide etiche e psicologiche delle misure coercitive. Un aspetto particolarmente delicato nell’assistenza alla salute mentale riguarda l’uso delle misure coercitive – come le contenzioni fisiche – necessarie per garantire la sicurezza del paziente, del personale e degli altri degenti in situazioni critiche. Queste misure, seppur talvolta inevitabili, sono causa di disagio morale per gli operatori, che devono far fronte a sensi di colpa e di fallimento. In alcuni casi, la coercizione viene vista come una violazione dei diritti umani e può causare nei pazienti sentimenti di umiliazione e sfiducia, influendo negativamente sulla relazione terapeutica. D’altro canto, il mancato ricorso a tali interventi può esporre i pazienti e gli operatori a rischi gravi, creando un dilemma morale complesso.
Gli studi rivelano che, nel lungo termine, l’uso di misure coercitive senza un adeguato supporto psicologico per il personale può portare al cosiddetto "disagio morale", una condizione che può evolvere in "ferita morale". Questa terminologia descrive meglio le profonde lacerazioni emotive e psicologiche che i professionisti vivono nel dover conciliare il loro desiderio di aiutare con la necessità di mantenere la sicurezza, spesso a discapito della loro stessa serenità.

Impatto sulla qualità dell’assistenza e sulla sicurezza del paziente. Quando i professionisti della salute mentale subiscono il fenomeno della vittimizzazione secondaria, le ripercussioni vanno oltre la sfera personale. Studi evidenziano come il trauma e il disagio emotivo possano ridurre la capacità di prendere decisioni rapide e accurate, con effetti potenzialmente negativi sulla sicurezza dei pazienti. Un operatore traumatizzato potrebbe esitare nell’eseguire interventi cruciali o, al contrario, reagire in modo impulsivo, compromettendo la qualità dell’assistenza. Questo circolo vizioso di stress, insicurezza e paura rischia di esacerbare l’isolamento degli operatori della salute mentale, aumentando il rischio di burnout e di abbandono della professione.

La necessità di un cambiamento culturale e di interventi strutturati. Per mitigare gli effetti della sindrome della vittima secondaria tra i professionisti della salute mentale, è necessario un cambio di paradigma che ponga al centro non solo il benessere dei pazienti, ma anche quello degli operatori. La promozione di ambienti di lavoro in cui la comunicazione aperta, la condivisione delle esperienze e il supporto reciproco siano valori fondamentali potrebbe ridurre il senso di isolamento.
Implementare sessioni di debriefing strutturate dopo eventi traumatici rappresenta un primo passo fondamentale: queste riunioni dovrebbero essere pensate per permettere al personale di esprimere le proprie emozioni, rielaborare l’esperienza e trovare un supporto psicologico all’interno del gruppo. Anche attività di self-care e formazione sulla gestione dello stress e delle emozioni possono aiutare a prevenire l'insorgenza del disagio morale, così come la disponibilità di risorse di supporto, come assistenza psicologica e programmi di benessere lavorativo.
La sindrome della vittima secondaria è una realtà sottovalutata nell’assistenza alla salute mentale, e riconoscerne l’esistenza è il primo passo verso un’assistenza di qualità non solo per i pazienti, ma anche per i professionisti. Creare un ambiente di lavoro che protegga il benessere degli operatori non significa solo tutelare i diritti dei lavoratori, ma garantire che ogni paziente riceva cure sicure e di alta qualità.

Da: Aluh, Deborah & Cortes, Jesus. (2024). Second Victims in Mental Health Care. Journal of Patient Safety, Advance on-line publication. Retrieved from http://ovidsp.ovid.com/ovidweb.cgi?T=JS&PAGE=reference&D=ovftz4&NEWS=N&AN=01209203-900000000-98632. https://doi.org/10.1097/PTS.0000000000001277