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Fuga dalla sanità pubblica. Nel 2024, 23mila infermieri hanno appeso la divisa al chiodo

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 22/01/2025

Professione e lavoroStudi e analisi

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni – le famigerate Great Resignation – sembrava essersi affievolito, un’onda passeggera legata alla pandemia da Covid-19. Eppure, i dati dell’INPS relativi ai primi nove mesi del 2024 raccontano una realtà diversa: 1,5 milioni di dimissioni volontarie, un dato che, se confermato a fine anno, supererà abbondantemente i due milioni, eguagliando i numeri record del 2022 e 2023. In prima linea tra i settori colpiti, quello sanitario, dove medici e infermieri abbandonano le corsie ospedaliere, spesso senza voltarsi indietro.

L’esodo dalla sanità pubblica

I numeri sono impietosi: circa 7.000 medici e 23.000 infermieri hanno lasciato il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) nei primi nove mesi del 2024. Le ragioni principali? Carichi di lavoro insostenibili, crescenti responsabilità non accompagnate da un adeguamento salariale e la sensazione di lavorare in un contesto che non valorizza il personale.

Molti hanno scelto la via dell’esilio, attratti da opportunità più allettanti in strutture private, spesso all’estero. Tuttavia, un dato allarmante emerge: il 20% di questi professionisti non ha cercato nuove opportunità nel settore, ma ha deciso di abbandonare la professione sanitaria del tutto, segnale di un disagio profondo e sistemico.

Il peso del disagio psicologico

Non è solo una questione di soldi. Le dimissioni sono accompagnate da un incremento significativo delle denunce per disturbi psichici e comportamentali: oltre 9.000 casi nei primi nove mesi del 2024, con un aumento del 16% rispetto all’anno precedente. Lo stress accumulato durante la pandemia, unito a turni massacranti e alla cronica mancanza di personale, ha lasciato un segno profondo sulla salute mentale di molti operatori sanitari.

Un problema che si allarga

La crisi non riguarda solo la sanità. Il fenomeno si estende a tutto il settore pubblico: tra difesa, istruzione e assistenza sociale, il numero di dipendenti pubblici è calato di 102.000 unità. La fuga dei lavoratori colpisce anche settori tradizionalmente stabili, come il commercio, la ristorazione e il trasporto, dove condizioni di lavoro difficili si accompagnano a stipendi insoddisfacenti. Complessivamente, oltre 600.000 addetti hanno lasciato il commercio, e altri 300.000 hanno abbandonato comparti come il manifatturiero, l’energia e i rifiuti.

Un mercato del lavoro paradossale

In parallelo, le imprese italiane lanciano l’allarme: secondo Unioncamere e il Ministero del Lavoro, nei prossimi tre mesi saranno disponibili 1,37 milioni di posti di lavoro, ma circa 190.000 rischiano di restare scoperti per mancanza di candidati o di personale qualificato. La situazione è aggravata dal declino demografico, con una popolazione giovanile in calo e un incremento della fascia più anziana. “Gli imprenditori temono più la mancanza di personale che una nuova crisi economica,” sottolineano gli analisti della CGIA di Mestre.

La sanità pubblica al bivio

Le dimissioni di medici e infermieri mettono in luce una crisi strutturale del sistema sanitario italiano. Non si tratta solo di sostituire chi se ne va, ma di ripensare un modello che sembra aver perso attrattiva. Occorrono interventi urgenti: salari più competitivi, investimenti in formazione e valorizzazione del personale, oltre a misure concrete per ridurre il carico di lavoro e migliorare le condizioni operative.

La fuga di medici e infermieri è un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Se il “posto fisso” non è più sinonimo di sicurezza e soddisfazione, diventa evidente che il problema non è dei lavoratori, ma di un sistema incapace di rispondere alle loro esigenze e ambizioni.