Segni vitali e risposta rapida: il ruolo chiave degli infermieri nel riconoscere il rischio
Una revisione internazionale evidenzia criticità nell’uso e nella documentazione dei segni vitali da parte degli infermieri e il loro impatto sull’attivazione dei sistemi di risposta rapida (RRS)
Riconoscere tempestivamente un peggioramento clinico può salvare una vita. È su questa evidenza che si basano i Sistemi di Risposta Rapida (RRS), strumenti ormai diffusi a livello globale per migliorare la sicurezza del paziente in ospedale. Eppure, il corretto funzionamento di questi sistemi dipende in larga parte dalla capacità degli infermieri di rilevare, interpretare e agire in base ai segni vitali. Una recente revisione della letteratura evidenzia quanto questa catena di azioni sia tutt’altro che automatica e uniforme.
Il cuore del problema: documentazione incompleta e decisioni discrezionali
Gli RRS si basano su quattro componenti principali: rilevazione del deterioramento clinico (afferent limb), risposta clinica, sicurezza e qualità, governance. Il cosiddetto afferent limb failure, ovvero la mancata attivazione documentata di un RRS nonostante la presenza di segni vitali alterati, si verifica in una percentuale variabile tra il 43% e il 100% dei casi. Questo significa che in molti casi i pazienti mostrano chiari segni di peggioramento, ma il sistema di emergenza non viene attivato.
Chi ha il compito di rilevare questi segni vitali? Nella maggior parte dei casi, sono gli infermieri. La loro precisione nella raccolta e interpretazione dei dati è fondamentale per attivare correttamente la risposta clinica. Tuttavia, la revisione mostra che la documentazione dei segni vitali è spesso incompleta, in particolare per parametri chiave come la frequenza respiratoria e lo stato di coscienza.
Cosa si misura (e cosa no): le differenze tra adulti e bambini
Negli adulti, il segno vitale più documentato è la pressione arteriosa, il meno rilevato è la frequenza respiratoria. Nei bambini, si documenta più spesso la temperatura e meno la pressione. Queste differenze sembrano legate a fattori pratici (automazione della misurazione, cooperazione del paziente) e a priorità cliniche implicite nei diversi contesti.
La frequenza respiratoria è riconosciuta come uno dei primi indicatori di deterioramento, ma è anche il parametro meno documentato. Le cause? Mancanza di conoscenza, sottovalutazione del parametro, tecniche scorrette di misurazione e sostituzione con la saturazione di ossigeno, più facile da rilevare con strumenti digitali.
Attivazione del RRS: il cuore batte più forte, ma il respiro si perde
Il parametro che più frequentemente scatena l’attivazione di un RRS è la frequenza cardiaca. Meno frequentemente sono la frequenza respiratoria e lo stato di coscienza, nonostante la loro importanza clinica. Questo potrebbe essere spiegato con il fatto che la frequenza cardiaca è più facilmente rilevabile tramite i monitor automatici comunemente usati nei reparti, mentre la respirazione richiede una misurazione manuale.
Curiosamente, quando l’RRS viene attivato per desaturazione, il rischio di afferent limb failure è più alto rispetto a quando il trigger è la frequenza cardiaca. Questo potrebbe riflettere un’eccessiva fiducia degli infermieri nella gestione autonoma dell’ipossia tramite ossigenoterapia, un intervento compreso nel loro ambito di autonomia.
Tecnologia sì, ma non sostituisce il giudizio clinico
Se da un lato l’automazione facilita la rilevazione dei parametri, dall’altro rischia di spostare l’attenzione su ciò che è più semplice da misurare, non necessariamente su ciò che è più clinicamente rilevante. La frequenza respiratoria, non automatizzata, resta trascurata. Un paradosso, considerando che è uno dei parametri più predittivi di deterioramento.
Non esistono, inoltre, prove robuste che il monitoraggio continuo riduca eventi avversi gravi come arresti cardiaci o ricoveri non pianificati in terapia intensiva. Questo rafforza il ruolo insostituibile dell’infermiere nella valutazione clinica e nella decisione di attivare una risposta rapida.
Il nodo è culturale, prima che tecnico
La revisione mette in luce una realtà importante: la valutazione dei segni vitali è ancora troppo discrezionale e poco standardizzata. Serve più formazione, ma anche più consapevolezza sul significato clinico di ogni parametro. La pressione arteriosa non può essere l’unico indicatore di pericolo. La respirazione, lo stato di coscienza e altri segni vitali devono tornare al centro dell’osservazione infermieristica.
Serve anche più ricerca: capire meglio come e perché gli infermieri decidono di misurare (o non misurare) certi parametri è essenziale per costruire sistemi di risposta più efficaci. Perché la sicurezza dei pazienti passa, ancora una volta, da occhi esperti, mani attente e decisioni tempestive.
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