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Il tallone degli infermieri: i sindacati maggiormente rappresentativi

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 27/07/2021 vai ai commenti

AttualitàPunto di Vista

Secondo il mito, la madre di Achille immerse il figlio, quando era bambino, nelle acque del fiume Stige con il proposito di renderlo immortale, ma omesse di bagnarne il tallone, dal quale lo teneva.

Per questo motivo, Achille aveva un corpo indistruttibile ed era dotato di una forza sovrumana capace di spaventare qualsiasi esercito nemico, ma il suo punto debole rimaneva il calcagno.

In questi articoli, divisi in sette parti, il mio obiettivo sarà quello di illustrare quali sono i punti deboli (tallone) del corpus infermieristico, così forte professionalmente ma così fragile nel suo quotidiano.

 

  1. La Dirigenza Infermieristica
  2. Gli Ordini Professionali
  3. La classe politica
  4. I sindacati “maggiormente rappresentativi”
  5. I mass-media
  6. La sanzione della comunità
  7. La questione femminile

 

Il tallone degli infermieri: i sindacati “maggiormente rappresentativi”

 

Diciamolo subito, così evitiamo errate interpretazioni e/o fraintendimenti: il valore sociale delle Organizzazioni Sindacali, in Italia, nel corso di buona parte del Novecento è indiscutibile.

Tantissime lotte promosse dai Sindacati, hanno portato le lavoratrici e i lavoratori, le loro famiglie e un intero Paese a vivere in un contesto fatto di civiltà e reciproco rispetto, all’interno di un sistema dove si sono definite regole precise a tutela di chi è inserito nei processi produttivi.

Uno fra tutti, baluardo dei diritti dei lavoratori è, appunto, lo “Statuto dei Lavoratori” (legge n. 300 del 20 maggio 1970).

Conquiste storiche importanti, dunque, innegabili vittorie dei nostri sindacati, in particolare di CGIL, CISL e UIL.

Purtroppo, però, dalla seconda metà degli anni Ottanta, le cose hanno iniziato a prendere una piega alquanto “fastidiosa”, almeno per quanto riguarda il corpus infermieristico: all’evoluzione della professione, caratterizzata dal riconoscimento di nuove competenze e responsabilità, non si è accompagnato un adeguato aumento salariale.

Eppure la Costituzione parla chiaro: all’articolo 36 si legge che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro […]”.

“Proporzionata” vuol dire una sola cosa: se hai più responsabilità, maggiori carichi di lavoro, stress da lavoro condizionato dal contatto quotidiano con sofferenze, malattie, morte, obblighi ulteriori, oltre a quelli sanitari in senso stretto, come quelli amministrativi, di medicina legale o di gestione di beni materiali, ebbene... tutto questo richiede uno stipendio notevolmente più alto di altre categorie che tutte queste cose non ce l’hanno.

Invece i sindacati “maggiormente rappresentativi” tutte queste cose non le hanno mai riconosciute.

Se ne sono accorti i medici che, nel 1987 riuscirono a ritagliarsi un’area di contrattazione separata dal Comparto e, nel 1995, ad arrivare addirittura ad un Contratto di Lavoro separato.

Gli infermieri e le ostetriche sono, invece, rimasti al palo, ostaggi dei “maggiormente rappresentativi”.

Perché “ostaggi”? Innanzitutto intendiamoci sul termine.

Per ostaggio si intende “[…]  una persona fisica tenuta prigioniera per il raggiungimento di un riscatto che può essere di tipo economico o un'altra forma di vantaggio per il sequestratore”.

E cosa siamo stati negli ultimi contratti?

Ogni qualvolta i Governi riconoscevano il valore complessivo degli interventi sanitari, in particolare degli infermieri, nel nostro Paese (da ultimo il grande impegno verso la pandemia da COVID-19), i sindacati “maggiormente rappresentativi”, invece di distribuire le risorse economiche ispirandosi al citato articolo 36 della Costituzione, utilizzavano (e ancora, oggi più di prima, lo fanno) il collaudatissimo sistema della distribuzione cosiddetta “a pioggia”.

Perseguendo la politica del “tutto a tutti”, toglievano agli infermieri e alle ostetriche per dare a tutte le altre figure del Comparto Sanità.

Grazie all’arrivo del NurSind, è stato possibile portare avanti numerose battaglie che hanno cercato, perlomeno, di limitare i danni. Ad esempio, il riconoscimento del tempo per il cambio della divisa, oppure la non decurtazione automatica della mezz’ora di pausa per il recupero psico fisico, o ancora il riconoscimento del buono pasto a tutti coloro che non hanno o non possono usufruire della mensa, oppure il pagamento della maggiorazione oraria per le festività infrasettimanali lavorate.

Alcune tra le tante battaglie (dove spesso il nemico non era solo la controparte aziendale o governativa, ma gli stessi sindacati “maggiormente rappresentativi”) che hanno portato un po’ di ossigeno a molti lavoratori (per la maggior parte infermieri e ostetriche) che hanno limitato, come dicevo, i danni provocati dai Contratti di Lavoro degli ultimi vent’anni.

Quanto ho scritto (ci sarebbe ancora molto da dire) non rappresenta un mio, personalissimo, lucido delirio, ma è la traduzione di quanto raccogliamo in giro, ai tavoli aziendali, nelle piazze, nelle sedi di contrattazione nazionale e locale.

Ad esempio, nel dicembre 2020, il Segretario Nazionale della UIL, tal Pierpaolo Bombardieri, a fronte della promessa da parte del viceministro Sileri di riconoscere agli infermieri 100 euro per l’impegno profuso durante l’emergenza COVID (e tutti noi sappiamo quanto impegno sia stato profuso) si è dichiarato scandalizzato della concessione di un premio “[…]ad alcuni si e ad altri no[…]”, poiché negli ospedali “[…] non ci sono solo gli infermieri […]”.

Ecco, questo è uno dei tanti esempi che confermano la teoria degli “infermieri come ostaggi”: grazie all’enorme sacrificio degli infermieri, in prima linea durante la pandemia, arrivano i soliti noti a dirottare del danaro su tutti i lavoratori, anche a quelli che stavano a casa in smart working o che, seppur sul luogo di lavoro, svolgevano le proprie attività in ufficio o in altri posti non toccati dall’assistenza diretta ai malati di COVID.

Ebbene, care colleghe e cari colleghi che, un po’ per nostalgia, un po’ perché ancora fortemente ideologicizzati, un po’ perché condizionati da un imprinting lavorativo in reparti presidiati da qualche sindacalista della triplice, ancora sostenete questa o quella sigla dei “maggiormente rappresentativi”, riflettete bene su quanto si possa invece fare aderendo e dando forza ad un sindacato di categoria.

Pensateci bene quando decidete di tesserarvi o di continuare a foraggiare rappresentanti sindacali che nemmeno sanno chi siete: il nostro destino è solo nelle nostre mani.

P.S.: ho sempre usato le virgolette quando ho scritto di sindacati “maggiormente rappresentativi” perché, in effetti, nonostante la dizione ancora corrente, non rappresentano più la categoria degli infermieri e delle ostetriche, poiché di questi, sia essi sindacalisti o semplicemente iscritti, ne hanno davvero pochi.

 

Alla prossima puntata, martedì 3 agosto 2021, per l'articolo sui mass media