Accesso venoso periferico pediatrico. Il protocollo di gestione per evitare rischio dislocazione
L'inserimento di un catetere venoso periferico (PVC) è la procedura invasiva più frequente eseguita dagli operatori sanitari nei bambini ospedalizzati (Reigart et al., 2012).
Le vene dei bambini piccoli sono di piccolo diametro e difficili da vedere e palpare, specialmente quelle dei neonati, che hanno più grasso sottocutaneo. Per questo motivo l'inserimento di un PVC è difficile nei bambini di età inferiore ai 3 anni.
A volte sono necessari diversi tentativi e le vene possono essere danneggiate (Lininger, 2003). Questa cura può quindi richiedere più tempo e soprattutto essere percepita come dolorosa e causa di ansia sia dal bambino che dai suoi genitori, nonostante l'uso di vari mezzi di distrazione (Bagnasco et al., 2012; Bourdier et al., 2019; Kleiber et al., 2001; Miller et al., 2016). L'eventuale memorizzazione del dolore può svolgere un ruolo chiave nell'anticipare l'esperienza successiva (Pickering & Laurent, 2013).
Per una migliore efficacia al primo tentativo di inserimento di un PVC, i bambini devono essere preventivamente controllati per eventuali difficoltà. Gli operatori sanitari utilizzano una misura della difficoltà attesa nel cateterismo, il punteggio Difficult Intravenous Access (DIVA) (van Loon et al., 2016; Rauch et al., 2009; Riker et al., 2011; Yen et al., 2008). Un punteggio maggiore o uguale a 4 significa che un bambino ha una probabilità del 50% che l'inserimento del PVC non vada a buon fine al primo tentativo, perciò questi soggetti dovranno essere sottoposti ad un posizionamento con tecniche di visualizzazione avanzata, con l’eventuale utilizzo di sedo-analgesia.
Gestire gli accessi venosi periferici nei bambini e ridurne i dislocamenti con conseguenti reincannulazione è possibile.
L’esperienza è quella dell’ Unità Operativa Pediatria 2 del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Azienda Ospedale – Università Padova , che accoglie soggetti con quadri clinici neurologici, neuropsichiatrici, reumatologici, pneumologici, allergologici, diabetologici e infettivologici.
Lo studio, pubblicato sulla rivista L’infermiere, è stato condotto dall’equipe infermieristica dell’Unità Operativa Pediatria 2, che ha adottato, a partire da gennaio 2019, un protocollo di miglioramento che punta ad una riduzione quantitativa delle incannulazioni venose periferiche.
Il protocollo operativo, elaborato da un gruppo di lavoro di composto da personale infermieristico e medico con comprovata esperienza nella gestione degli accessi venosi, prevede che il personale infermieristico implementi alcune azioni di comprovata efficacia clinica nel proprio agire assistenziale: verifica della pervietà dell’accesso venoso prima dell’utilizzo, attraverso l’infusione di soluzione fisiologica; lavaggio dell’accesso venoso con tecnica push-pause con soluzione fisiologica dopo somministrazione di farmaci; connessione del catetere venosi periferico con un tappo a pressione neutra.
Il protocollo prevede inoltre un adeguato fissaggio dell’accesso venoso: nello specifico se la cannula è inserita in prossimità di una sede articolare (polso, gomito, etc), l’arto deve essere immobilizzato in modo da sostenere l’area di flessione in posizione funzionale, collocando un apposito supporto imbottito e contatto con la superficie libera e fissandolo all’arto con cerotti. Sopra di questo viene applicata una medicazione trasparente impermeabile che mantiene l’exit visibile. Se la cannula è inserita a distanza da una sede articolare, il fissaggio prevede esclusivamente l’utilizzo di una medicazione trasparente impermeabile.
E’ definita anche un’attività di monitoraggio da eseguire subito dopo il posizionamento della cannula e, successivamente, a cadenza giornaliera; il personale infermieristico registra le osservazioni relative all’accesso venoso e al sito di inserzione compilando una scheda informatica, nella quale vengono registrate informazioni relative alla data e alla sede di posizionamento della cannula, le dimensioni della cannula, l’avvenuta sostituzione delle vie infusive, i raccordi presenti per le infusioni e gli aspetti riguardanti il punto di exitus (medicazione, caratteristiche, etc). Infine una parte è dedicata alla data di rimozione e alle motivazioni che hanno portato a tale azione.
Dall’analisi emerge una significativa diminuzione delle dislocazioni, che in termini assoluti sono diminuite del 29,7%; se si considera il contestuale aumento delle ammissioni avvenute nel 2019, tale percentuale di diminuzione delle dislocazioni degli accessi venosi periferici arriva al 36,6%.
Il raggiungimento di questi risultati ha determinato una riduzione delle procedure di reincannulazione e, quindi, dello stress correlato a tale procedure per il paziente, i genitori e gli operatori, con miglioramento della qualità percepita e dell’adesione alle cure.
Le azioni previste dal progetto implementato sembrano essersi rivelate come i fattori che hanno aiutato a ridurre le dislocazioni degli accessi venosi periferici.
PERCORSO DI MIGLIORAMENTO NELLA GESTIONE DELL’ACCESSO VENOSO PERIFERICO: L’ESPERIENZA DELL’UO PEDIATRIA 2 DI PADOVA
Rivista L'Infermiere N° 3 - 2021
Ivana Papetti Infermiere, Azienda Ospedale – Università Padova
Marianella Chillon Infermiere, Azienda Ospedale – Università Padova
Valentina Gheller Infermiere, Azienda Ospedale – Università Padova
Cristian Girotto Infermiere, Azienda Ospedale – Università Padova