L’intelligenza artificiale per colmare le lacune dell’assistenza nella salute mentale
"Dalla telepsichiatria ai chatbot terapeutici, l’IA promette un futuro più equo ed efficiente per pazienti e operatori, ma servono fiducia, investimenti e umanità"
Con l’accelerazione della digitalizzazione nei servizi sanitari, anche la salute mentale si trova al centro di una trasformazione epocale. La Dott.ssa Arokia Antonysamy, psichiatra consulente, ha analizzato le sfide attuali nel settore e le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale (IA) per migliorare diagnosi, accesso e trattamento dei disturbi psichici.
Durante la pandemia da Covid-19, la telemedicina è stata adottata su larga scala per garantire continuità assistenziale, ma nonostante i benefici registrati – come aumento di produttività e soddisfazione del personale – si è presto tornati alla valutazione in presenza, segno di una resistenza culturale difficile da superare.
Questa resistenza non è nuova nel mondo sanitario. Anche la chirurgia robotica, introdotta negli anni ’80, fu inizialmente accolta con diffidenza a causa dei costi e della paura che potesse ridurre il ruolo del chirurgo. Oggi, a soffrire maggiormente il ritardo digitale è la salute mentale, spesso considerata una “specialità di serie B” nonostante l’aumento esponenziale della domanda.
Secondo il Royal College of Psychiatrists, dal 1993 al 2014 la prevalenza dei disturbi mentali tra i 16 e i 64 anni è salita dal 14,1% al 17,5%. Il 78% dei pazienti finisce per rivolgersi ai Pronto Soccorso per ricevere un supporto psicologico, e circa un quarto aspetta oltre 12 settimane per iniziare una terapia. Il sistema di accesso, che obbliga a passare per il medico di famiglia, rappresenta un altro ostacolo, soprattutto alla luce della riduzione delle visite in presenza.
Nel frattempo, la popolazione inizia a guardare con interesse alle soluzioni tecnologiche. Un sondaggio nazionale ha mostrato che la maggioranza degli utenti percepisce l’IA come un vantaggio in termini di efficienza e velocità, superando le frustrazioni causate dai lunghi tempi di attesa e dalla burocrazia.
Ma in che modo l’intelligenza artificiale può davvero cambiare le carte in tavola?
Le piattaforme di telepsichiatria permettono consulti più rapidi, con minori disagi logistici per i pazienti e minori assenze agli appuntamenti. Secondo la Dott.ssa Antonysamy, grazie al lavoro da remoto si ottiene anche un maggiore coinvolgimento dei familiari.
Gli algoritmi di IA possono inoltre migliorare il triage a distanza, aiutando a identificare i soggetti ad alto rischio e a dar loro priorità nell’accesso ai servizi. App e dispositivi indossabili possono monitorare il benessere psicologico in tempo reale, favorendo interventi tempestivi e riducendo l’impatto sulle attività quotidiane e sul lavoro.
Anche lo stigma e la mancanza di fiducia, specialmente tra giovani e adolescenti, possono essere affrontati con strumenti digitali. Dal novembre 2024, un chatbot con intelligenza artificiale ha ricevuto oltre 18 milioni di messaggi da utenti in cerca di supporto psicologico, segno di un cambiamento culturale in atto. Tuttavia, non mancano i rischi: l’assenza di empatia, l’incapacità di cogliere segnali non verbali e l’impreparazione nella gestione delle crisi restano limiti significativi.
Infine, l’IA può anche contribuire a rendere più equo il sistema. Le minoranze etniche, pur non avendo barriere linguistiche, accedono meno frequentemente alla psicoterapia. Una sanità digitale ben progettata potrebbe ridurre queste disuguaglianze strutturali, se accompagnata da adeguati investimenti e una formazione etica degli operatori.
In definitiva, l’intelligenza artificiale non è la panacea, ma può diventare una risorsa preziosa per colmare il divario tra domanda e offerta in salute mentale. Serve però una nuova mentalità, che vada oltre la nostalgia per il passato e guardi al futuro con responsabilità, umanità e visione