Le REMS, lo stato dell'arte
La tappa giuridica finale di questa lunga evoluzione verso la sanitarizzazione degli istituti di cura degli autori di reato con malattia mentale è stato il DL 52/2014, convertito nella Legge 81/2014 (“Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”). Questo documento stabilisce, in via definitiva, la chiusura degli OPG per il 31 marzo 2015 e predispone la creazione di “nuovi” istituti capaci di fornire misure di sicurezza non detentive e non custodiali, cioè le REMS. Queste strutture forensi sono gestite dal Servizio Sanitario e sono concepite con una funzione terapeutica e riabilitativa pura proprio per gli autori di reato con malattia psichiatrica. Per questo motivo, non si trovano in strutture penitenziarie attive ma sono strutture sanitarie a sé stanti al cui interno opera solo personale sanitario (e non più misto sanitario-penitenziario, come avveniva negli OPG e continua ad accadere nel resto del mondo). Solamente l’attività perimetrale di sicurezza e vigilanza esterna viene espletata – su accordo con la Prefettura – dalle Forze dell’Ordine (e non più dalla polizia penitenziaria) .
Tra le innovazioni che la Legge 81/2014 ha apportatovi è l’obbligo per il giudice disporre nei confronti dell’infermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia, cioè la REMS, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate a fare fronte alla sua pericolosità sociale. Inoltre, viene istituito l’obbligo, per il giudice, di motivare, punto per punto, la scelta di applicare una misura di sicurezza detentiva all’interno della REMS, considerata come extrema ratio rispetto alla possibilità di una gestione del paziente reo all’interno dei servizi del DSM sul territorio.
Per giustificare la custodia del paziente in REMS per un periodo di tempo considerevole, il giudice dovrà accertare la sussistenza di tre presupposti tra loro interdipendenti:
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la probabilità che il soggetto sospenda volontariamente le cure, in assenza di misura di sicurezza ovvero se sottoposto a misura non detentiva;
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la probabilità che la sospensione delle cure induca a scompensi comportamentali;
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la probabilità che da tali squilibri comportamentali scaturiscano agiti tali da determinare dei fatti reato.
In questo modo si privilegia quindi l’adozione di misure di sicurezza non detentive, per favorire percorsi riabilitativi e terapeutici che riducano l’opzione custodiale a una soluzione estrema e, comunque, motivata da parte della Magistratura, in modo da realizzare il mandato terapeutico-riabilitativo dei nuovi istituti;
Viene imposto l’obbligo della creazione e dell’invio dei progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati (PTRI) di tutti i pazienti nelle REMS al Ministero della Salute e alla competente autorità giudiziaria entro 45 giorni dall’ingresso del reo in struttura. La ratio di questa disposizione è quella di ridurre il vecchio problema degli “ergastoli bianchi”, evitando l’istituzionalizzazione e la proroga sistematica delle misure di sicurezza in REMS mediante la realizzazione di un programma dettagliato in termini temporali, organizzativi e qualitativi rispetto alle necessità assistenziali del soggetto. Per i pazienti per cui è accertata una pericolosità sociale, il programma deve documentare in modo puntuale le ragioni che sostengono l’eccezionalità e il prosieguo del ricovero nelle REMS: si obbligano quindi le autorità, nel formulare i programmi, a prendere in considerazione l’internato e la sua necessità di cura, ma lo spirito della legge è quello di limitare l’utilizzo delle REMS ai soli soggetti non dimissibili, ossia a coloro che per le loro problematiche cliniche o di altro genere non potranno essere presi in carico dai DSM nel territorio;
La durata delle misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle REMS, non può superare la durata massima della pena detentiva prevista per il reato commesso, stabilita dall’art. 278 del Codice di Procedura Penale. Questo evidenzia l’impossibilità di giungere all’istituzionalizzazione dei rei affetti da malattia mentale, a eccezione dell’ergastolo, per cui non si applica la disposizione precedentemente detta;
Alla data di maggio 2019, secondo il XV Rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, le REMS attive sul territorio nazionale sono 30. Le 3 regioni sprovviste di una propria struttura (Valle d’Aosta, Umbria e Molise) si appoggiano – mediante accordo interregionale – alle REMS di altre regioni (rispettivamente Lombardia, Toscana e Abruzzo).
Tutte le REMS hanno un limite massimo di posti letto, fissati per legge a 20, sebbene possa essere aumentato mediante la creazione di un sistema poli-modulare di più REMS all’interno della stessa struttura – come nel caso di Castiglione.
Un importante strumento di monitoraggio delle REMS è costituito dall’“Osservatorio sul superamento degli OPG e sulle REMS” , fondato dal Comitato StopOPG, che – dal 2016 – visita regolarmente le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza sul territorio italiano, pubblicando interessanti report che raccolgono informazioni sui pazienti, sul personale e sulle caratteristiche strutturali delle residenze. Tutti i report sono pubblicati e disponibili all’indirizzo web www.stopopg.it .
Uno degli elementi più significativi del passaggio dagli OPG alle REMS è il taglio drastico di posti letto disponibili (662 attuali contro i 1200-1300 medi degli OPG). Questo è avvenuto senza dubbio per salvaguardare il principio della misura di sicurezza detentiva intesa come extrema ratio sancito dalla Legge 81/2014. Com’era facilmente prevedibile, ha però generato importanti liste d’attesa causate dallo squilibrio tra il numero di ordinanze da parte dei Tribunali per soggetti destinati alla misura di sicurezza detentiva e l’offerta di posti letto in REMS. Non potendo aumentare il numero dei posti letto nelle REMS, per evitare anche di incappare nel problema degli “ergastoli bianchi” tipico dell’era degli OPG, sorgono spontanee alcune domande: dove sono questi soggetti? Come viene garantita loro la cura? Come è tutelato il loro diritto alla salute? È ipotizzabile che la loro attuale condizione residenziale possa recare danno a sé e agli altri? Queste domande ci fanno subito riflettere sulla necessità di implementare e ottimizzare le risorse, i percorsi di cura e l’organizzazione aziendale della psichiatria forense, i servizi territoriali della salute mentale, in modo da creare un network di servizi sanitari e giuridici che operi efficacemente nel rispetto dei diritti di cura e personali degli autori di reato affetti da malattia mentale. Senza questo fondamentale aspetto parliamo di un castello di carte destinato a infrangersi su pazienti, famiglie ed operatori.
Come si suggerisce nella “Rivista di psichiatria” (Rivellini G et al) un’ evoluzione sarebbe possibile mediante due strategie organizzative:
I. Creazione di Unità Funzionali di Psichiatria Forense (UFPF) all’interno delle ASL, che permettano una stretta collaborazione tra gli organi sanitari e quelli giuridici (Procura, Tribunale), che possa avvenire sin dall’inizio delle indagini fino alla sentenza e all’esecuzione delle misure di sicurezza. In questo modo possono venire effettuate le scelte più corrette per la salute dei pazienti, ma anche per una migliore tutela della collettività
2 Creazione di strutture intermedie riabilitative ad alta specializzazione per pazienti psichiatrici, internati dal Tribunale per “aver commesso reati in riscontrata situazione di non sapere né intendere né volere o con tare psichiche”, come succede nella Residenza “Don Giuseppe Girelli” di Ronco all’Adige (VR) dove sono stati avviati interventi di riabilitazione e di reinserimento sociale delle persone precedentemente internate presso l’OPG di Reggio Emilia e che oggi funge da struttura ausiliaria per gli ospiti della REMS di Nogara. Tale struttura si qualifica come residenzialità intermedia riabilitativa di alta specializzazione, in grado di accogliere fino a un massimo di 18 ospiti a pericolosità sociale attenuata, di norma in regime di “Licenza di esperimento” o “Libertà vigilata”.
Sappiamo dunque dove sono le lacune e abbiamo le idee per colmarle, resta ancora da capire quanto dobbiamo ancora aspettare perché i servizi territoriali di salute mentale abbiano gli strumenti per curare chi non è destinato ad una REMS.
“Rivista di psichiatria” (Rivellini G et al)