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Ritmi Circadiani: implicazioni biologiche del lavoro a turni e notturno

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 15/01/2024 vai ai commenti

FormazioneProfessione e lavoro

Gentili lettori,

Siamo lieti di presentarvi "InfermiereNotturno", la vostra risorsa professionale nella sezione formazione, dedicata alla pratica infermieristica notturna. Questa rubrica, che sarà disponibile ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fornirà approfondimenti specializzati su aspetti chiave della vostra professione.

 

Il sonno, dal latino sopor, è stato sempre considerato come una condizione di perfetto rilassamento del corpo e della mente, necessario per il ristoro dalle fatiche della giornata.

Una delle definizioni del sonno maggiormente calzanti, è quella data nel 1985 da Fagioli e Salzarulo, che lo presentano come “uno stato dell’organismo caratterizzato da una ridotta reattività agli stimoli ambientali che comporta una sospensione dell’attività relazionale (rapporti con l’ambiente) e modificazioni dello stato di coscienza”, che “si instaura autonomamente e periodicamente, si autolimita nel tempo ed è reversibile”.

Numero di ore e qualità del sonno hanno subito nel tempo delle

trasformazioni, riflettendo i cambiamenti della società, oggi definita “Società 24 ore”: il sonno è diventato più breve, compatto e profondo. Alla brevità del sonno hanno contribuito, diverse sollecitazioni, tipiche di una società che non dorme mai.

Una di queste sollecitazioni è costituita dal lavoro a turni e notturno, che spesso è organizzato secondo modalità che contrastano con le caratteristiche fisiologiche dell’uomo, determinando stanchezza, ma anche malattie e infortuni dei

lavoratori.

Il D.Lgs dell’08 aprile 2003 n. 66 e s.m.i. definisce il lavoro a turni come un «qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o settimane».

Il periodo notturno viene altresì definito come il «periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino».

Stabilisce altresì che per lavoratore a turni si intende «qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni» mentre il lavoratore notturno è «qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale oppure qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasilavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi

all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale».

Secondo gli ultimi dati dichiarati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sono almeno 134 milioni i pazienti che ogni anno sono vittime di eventi avversi che si verificano a causa della mancanza di sicurezza nelle prestazioni sanitarie e 2,6 milioni quelli muoiono per questo, ma la maggior parte di questi decessi sono evitabili.

Gli infermieri che lavorano di notte, spesso sperimentano alti livelli di sonnolenza, che sono la conseguenza biologica del ritmo circadiano, che induce il sonno in particolari ore della notte (dalle 2 alle 6 del mattino Akerstedt 1988).

 

La fisiologia del sonno

L’alternanza tra il sonno e la veglia è regolata da diversi meccanismi, tra cui un processo omeostatico che tiene traccia della necessità di sonno in proporzione alla durata dello stato di veglia precedente e un processo circadiano che sovrintende alla distribuzione temporale della veglia e del sonno, con la determinazione di finestre permissive di maggior propensione all’uno o all’altro stato.

Nei mammiferi e quindi anche nell’uomo, il centro del controllo circadiano è localizzato in una struttura cerebrale definita nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo che funziona da pacemaker, in grado di regolare il sonno e gli altriritmi biologici.

I nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo (SCN) sono costituiti da neuroni in grado di originare oscillazioni circadiane in virtù della loro attività elettrica e di secrezione; recentemente è stato dimostrato che le cellule del SCN sono unite da sinapsi elettriche che consentono la sincronizzazione dell’attività neurale, indispensabile per il mantenimento dei ritmi circadiani.

Il SCN genera lui stesso ritmi biologici con una periodicità circadiana, ritarando continuamente i propri ritmi al ciclo ambientale luce/buio attraverso una proiezione nervosa (tratto retinoipotalamico) a partenza dalla retina: è un vero e proprio orologio centrale o pacemaker in grado di autoalimentarsi, produrre ritmi e sorvegliare il loro corretto funzionamento.

Questo orologio centrale (master clock) viene attivato da impulsi fotopici provenienti dalle cellule gangliari retiniche contenenti il fotopigmento melanopsina, che si attiva ad un picco di luce blu compreso tra 460-484 nm. La melanopsina agisce come un sensore in grado di rilevare i cambiamenti di luce durante le 24 ore: grazie alla capacità di analizzare la luce incidente è in grado di distinguere il giorno (luce) dalla notte (buio), rappresentando l’elemento cruciale del sistema di sincronizzazione dei ritmi circadiani (regolati dal SCN) con il ritmo giorno/notte.

Le cellule gangliari retiniche che producono la melanopsina sono infatti collegate mediante il fascio retino-ipotalamico al SCN ipotalamico. A sua volta il SCN è collegato al sistema nervoso simpatico, e più precisamente al nucleo toracico intermediale, ed al ganglio cervicale superiore da cui originano fibre post-gangliari simpatiche che, terminando nei pressi della membrana dei pinealociti, liberano noradrenalina. La noradrenalina rilasciata nella sinapsi stimola la produzione di melatonina da parte dei pinealociti contenuti nell’epifisi.

Il SCN, quando stimolato dagli impulsi fotopici, blocca la trasmissione degli impulsi nervosi delle fibre post-gangliari simpatiche, inibendo in tal modo il rilascio di noradrenalina e la produzione di melatonina.

In condizioni di buio, l’assenza di stimoli fotopici disattiva il controllo inibitorio del SCN sul ganglio cervicale superiore, con liberazione di noradrenalina a livello dei pinealociti e produzione di melatonina; l’intero sistema retina-SCN-epifisi viene indicato come sistema fotoneuroendocrino (SFNE).

La secrezione di melatonina avviene durante la notte biologica (dal tramonto all’alba) mentre la sua produzione di giorno è virtualmente azzerata; tuttavia l’esposizione a fonti luminose di notte riduce immediatamente la produzione di melatonina in dipendenza dell’intensità luminosa, della lunghezza d’onda e dalla durata dell’esposizione alla luce e può causare la desincronizzazione sia dell’orologio centrale che di quelli periferici.

In condizioni normali, l’attività del nucleo è influenzata dalla stimolazione luminosa proveniente dalla retina (durante il giorno) e dalla secrezione di melatonina (durante la notte), che permettono di mantenere l’orologio interno dell’organismo in sintonia con il ciclo luce-buio dell’ambiente esterno, adattando così il ritmo circadiano endogeno dell’essere umano, stimato intorno alle 25 ore, con il ritmo esogeno che è di 24 ore.

I disturbi del ritmo circadiano originano da una richiesta di armonizzazione tra il ritmo circadiano endogeno e quello esogeno, a cui il nucleo soprachiasmatico non riesce a far fronte, con la comparsa di fatica, scarsa performance lavorativa, disturbi del sonno quali le difficoltà di addormentamento o di risveglio agli orari desiderati.

L’oscillazione sincrona tra orologi periferici e master clock centrale avviene in virtù del controllo gerarchico che quest’ultimo esercita sui primi, stante la dimostrata incapacità da parte degli orologi periferici di coordinarsi direttamente con lo zeitgerber esterno rappresentato dal ciclo luce/buio; per tale motivo dall’orologio centrale parte un impulso-guida che controlla a cascata tutti gli oscillatori periferici ospitati nelle cellule del corpo.

I disturbi del ritmo circadiano originano da una richiesta di armonizzazione tra il ritmo circadiano endogeno e quello esogeno, a cui il nucleo soprachiasmatico non riesce a far fronte, con la comparsa di fatica, scarsa performance lavorativa, disturbi del sonno quali le difficoltà di addormentamento o di risveglio agli orari desiderati.

 

Ormoni e ritmi circadiani

I ritmi circadiani di cortisolo e melatonina, quando il pacemaker centrale è sincronizzato sul ciclo ambientale luce/buio, presentano un andamento differente rispetto a quello assunto a seguito della desincronizzazione tra pacemaker centrale e ciclo luce/buio dovuto alla necessità di lavorare durante la notte, specie quando i turni notturni sono permanenti o a rotazione lenta.

La secrezione del cortisolo avviene a seguito dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) controllato dal ritmo imposto dal SCN.

Al mattino, al risveglio, la secrezione del cortisolo determina la stimolazione dell’organismo in senso ergotropico con attivazione delle varie funzioni (aumento della capacità muscolare, dell’attività cardiaca, della pressione arteriosa, della temperatura corporea, dell’ematocrito, della capacità respiratoria, dell’attività digestiva ecc); l’acrofase nella secrezione di cortisolo avviene tra le 6 e le 8 del mattino per poi discendere raggiungendo una bassa concentrazione ematica attorno alle ore 20.

La produzione di melatonina viene controllata dal sistema fotoneuroendocrino secondo un ritmo circadiano che prevede valori plasmatici massimi (50-200 pg/ml) durante le ore notturne (acrofase tra le 2 e le 4 del mattino) e minimi durante quelle diurne (2-10pg/ml); nei ciechi la mancata percezione della luce non determina la continua produzione di melatonina ma anche in tali condizioni essa segue un proprio ritmo circadiano, anche se spesso tale ritmo non è del tutto sincronizzato sul ciclo luce/buio. Una volta sintetizzata, la melatonina viene rapidamente rilasciata in circolo ed, essendo altamente liposolubile ed a basso peso molecolare, è in grado di penetrare direttamente all’interno delle cellule oltre che a fissarsi sui recettori di membrana cellulari, passando anche attraverso la barriera emato-encefalica e la placenta.

La melatonina è un sincronizzatore del ritmo sonno/veglia, tuttavia più che un induttore del sonno sembra possedere la funzione di spalancare “le porte al sonno” segnalando l’inizio e la durata della notte biologica, durante la quale l’attivazione ergotropica dell’organismo è fortemente ridotta a favore invece di un’azione trofotropica di recupero e riposo.

La prolattina, ormone secreto dall’adenoipofisi, viene anch’esso prodotto prevalentemente di notte: la sua acrofase è compresa tra le 24 e le 3 del mattino successivo e perdura in circolo fino alle 8 del mattino, quando subisce una brusca riduzione per poi ricominciare ad aumentare dopo le ore 13. Esercita un effetto stimolante sulle cellule immunitarie ed una sua inibizione farmacologica o conseguente a pinealectomia determina una immunodepressione che si manifesta nei confronti sia dei linfociti B (risposta antigene-anticorpo) sia nei confronti dei linfociti T citotossici (risposta cellulo-mediata). In corso di lavoro notturno, la sua secrezione viene in parte inibita.

 L’andamento della temperatura corporea riassume in sè tutte le altre funzioni ergotropiche che vengono attivate al mattino, all’inizio della produzione del cortisolo; sale nelle prime ore del mattino per raggiungere l’acrofase alle 16-17 del pomeriggio, per poi ridiscendere durante la notte con valori minimi tra le 2 e le 5 del mattino, in corrispondenza del sonno.

I dati provenienti da studi osservazionali condotti su lavoratori notturni in turno permanente e lavoratori giornalieri mentre evidenziano differenze nella produzione di prolattina, TSH, STH, GH, nessuna sostanziale differenza riscontrano negli andamenti circadiani di temperatura corporea e cortisolo.

Infatti è stato ampiamente dimostrato che, se si inverte il ritmo sonno-veglia, il ritmo circadiano della temperatura corporea varia poco ed in modo estremamente lento, per cui i valori più bassi continuano ad osservarsi a lungo durante le ore notturne quando il soggetto lavora mentre i valori più alti continuano ad essere registrati al mattino ed al pomeriggio quando il lavoratore turnista si corica per riposarsi. Questo lascia supporre come la temperatura corporea sia regolata da un oscillatore interno diverso dal SCN e che non si sincronizza sulla fase luce/buio.

 

Deprivazione del sonno e conseguenze

Si parla di deprivazione di sonno quando questo è insufficiente ad assicurare adeguati livelli di vigilanza, prestazione e benessere. La

deprivazione può essere sia quantitativa, per riduzione del tempo totale di sonno, che qualitativa, in presenza di un sonno continuativo e di durata normale ma alterato nella struttura e/o frammentato da frequenti microrisvegli.

I disturbi del sonno sono molto frequenti nei lavoratori turnisti,

interessando circa il 75% di essi con insonnia ed eccessiva sonnolenza diurna; nella popolazione generale l’insonnia interessa il 25-30% delle persone mentre la prevalenza di eccessiva sonnolenza diurna oscilla tra il 4-20%.

Nei lavoratori giornalieri l’insonnia riguarda il 10-30% dei lavoratori. L’International Classification of Sleep Disorders (ICSD) definisce il disturbo del sonno conseguente al lavoro a turni come caratterizzato da sintomi di insonnia o eccessiva sonnolenza non solo diurna (turno del mattino) ma anche notturna (turno di notte); l’insonnia viene definita “lieve” quando il debito di sonno varia da 1-2 ore “moderata”  quando il debito è maggiore e varia tra 2-3 ore ed infine “grave” quando il deficit di sonno supera le

3 ore.

Riguardo alla durata, l’ICSD definisce l’insonnia “acuta” se persiste da meno di 7 giorni, “sub-acuta” se fino a 3 mesi e “cronica” se supera i 3 mesi.

La prima e più evidente conseguenza di una deprivazione cronica di sonno è la sonnolenza, gravata dal rischio di incidenti stradali e di infortuni sul lavoro, ma altre ripercussioni riguardano le funzioni cognitive: riduzione dell’attenzione, della memoria e delle prestazioni.

Non meno importanti sono gli effetti sull’attività immunitaria e sulle funzioni endocrino-metaboliche.

Nei soggetti cronicamente deprivati di sonno si verifica infatti una attivazione immunitaria (testimoniata dall’aumento dei marcatori

sierologici di infiammazione) che, tuttavia, si accompagna a immunodeficienza e si traduce in una facilitazione degli eventi flogistici e infettivi e della loro gravità. Negli ultimi anni sono state evidenziate significative alterazioni del metabolismo e del sistema endocrino. Per importanza va ricordata la frequente riduzione della tolleranza glucidica e della sensibilità all’insulina, con aumento del rischio di diabete anche in soggetti giovani.

La deprivazione cronica di sonno comporta, inoltre, una disregolazione nella produzione di grelina e di leptina, cui consegue un incremento dell’appetito e del peso corporeo.

Altra conseguenza importante è l’ipertono simpatico, che aumenta la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. Va tenuto presente che esiste un diverso grado di vulnerabilità individuale alla deprivazione, geneticamente influenzato e legato anche ai tratti costituzionali come l’ipnotipo e il cronotipo oltre che all’età.

 

Bibliografia: Coperato A (2016) Lavoro a turni e notturno: valutazione dei rischio e sorveglianza sanitaria. Quaderni di Medicina del Lavoro, Lavoro a turni e salute: 8-9; 16-17-18.