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Donazione corpo ad usi scientifici: un’opportunità per l’infermiere?

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 24/06/2024 vai ai commenti

Punto di Vista

Sono stato  profondamente colpito da una notizia  che mi ha edotto su un problema che in Italia assume dimensioni davvero notevoli: la carenza di corpi donati alla scienza per usi medici.

In Italia le donazioni di corpi alla scienza sono rarissime, tanto che ad esempio i chirurghi non possono allenarsi agli interventi e tanto meno possono praticare lo studio di nuove tecniche.

Sono rarissimi i corsi, possibili solo attraverso l’uso di corpi importati da altri stati dove la donazione è d’uso comune.

Sembrerebbe che il problema sia sostanzialmente culturale e di comunicazione, in buona sostanza gli italiani non sarebbero informati su questa possibilità che ha regole, tutele e garanzie certe. Non c’è in effetti da meravigliarsi in un paese bigotto come il nostro, nonostante la chiesa approvi la pratica. Ignoranza insomma, scarso interesse come per tante altre cose che fanno del nostro paese uno dei più arretrati nella ricerca scientifica e che costringe i nostri brillanti studiosi a cercare fortuna all’estero, riuscendoci peraltro senza difficoltà.

Una situazione che rimanda a tempi bui, quando gli scienziati dovevano alimentare un traffico illegale di corpi per le ricerche scientifiche, correndo gravissimi rischi senza i quali oggi non avremmo le conoscenze di cui disponiamo e pare impossibile che questo sia diventato oggi un problema che costringe gli italiani a praticare corsi all’estero.

La normativa esiste e il 19 giugno scorso è stato anche pubblicato in gazzetta il bando per le strutture a candidarsi per la conservazione dei corpi a fini di ricerca.

E mentre leggevo ho avuto un’illuminazione delle mie, per prendere due piccioni con una fava come si dice: una massiccia campagna di sensibilizzazione del personale infermieristico.

Se gli infermieri decidessero di donare il proprio corpo al momento del trapasso, contribuirebbero alla soluzione del problema da una parte e dall’altra, la categoria e le generazioni di infermieri future ne avrebbero un enorme vantaggio. Si scoprirebbe finalmente cosa ci sia di diverso dentro il corpo di un infermiere, cosa gli abbia fatto scegliere questa professione così bistrattata e mal pagata, dal prestigio sociale pari a quello delle pennette lisce.

Chissà che gli studi non ci facciamo scoprire simili ai cormorani che a causa dell’atrofia della ghiandola uropigea non sono in grado di umettare le loro piume per renderle impermeabili, così da farne abili pescatori apneisti capaci di scendere fino a 30 metri.

Proprio come noi, capaci di lavorare per profonde sette ore (quando va bene) in piena apnea ma senza essere noi i cacciatori, bensì venendo cacciati e braccati da fogli terapie e incombenze dominanti d’ogni tipo. Forse si scoprirebbero le ragioni dell’ostinazione a non essere corporativi, le cause di una rassegnazione alla sudditanza nonostante dal 94 la professione sia diventata intellettuale; chissà che non si scoprano le ragioni che hanno portato gli infermieri a mettersi in un angolo, vagheggiare di proteste solo nell’oasi felice della cucinetta di reparto, condannarsi all’inconsistenza di pratiche ordinarie che saprebbero svolgere altri che, tranne per limitatissime competenze esclusive chissà per quanto in futuro, ci tengono ancora in vita.

Insomma forse potremmo capire davvero se siamo ancora indispensabili o meno e dai risultati di analisi e manipolazioni forse trovare gli ingredienti che ci spingano ad aggregarci in una sola voce per dare corpo alla ricetta magica del riscatto.