Sardegna finiti anche i posti letto in barella. Ospedali al collasso
Sold Out, tutto esaurito, over booking, completo.
Scegliete il termine che vi piace di più (io preferisco "completo", non amo gli inglesismi) ma la sostanza non cambia: gli ospedali della Sardegna, col primato riservato ai due più grandi di Cagliari e Sassari, non hanno più posti letto disponibili. E fin qui la notizia non sarebbe una novità, considerato che ciclicamente questo accade soprattutto nei periodi di recrudescenza dei mali stagionali anche se le curve indicano incidenze inferiori all’anno scorso con picchi non ancora al colmo. No la notizia non è questa quanto il fatto che da numerosi reparti si denuncia una situazione insostenibile come spesso accaduto ma forse mai come in questo caso, considerato che all’occupazione dei posti letto si somma ormai anche l’esaurimento delle barelle parcheggiate ovunque ed anche degli spazi fisici dove collocarle.
Dopo aver stipato le stanze all’inverosimile con distanze completamente annullate tra un degente e l’altro, non c’è più soggiorno, corridoio, ambulatorio e chi più ne ha più ne metta (sempre che ce l’abbia davvero qualche altro metro quadro disponibile) che non sia occupato da pazienti parcheggiati su barelle in attesa di un vero posto letto. E viene da chiedersi se non sia piuttosto meglio soffrire su una barella che su una stanza dove per entrare bisogna essere esperti di tetris. Le conseguenti problematiche legate alla carenza di personale, alla sicurezza, alla privacy, alla garanzia delle cure (e mi fermo qui che tanto nessuno paga mai), non sono nemmeno quantificabili.
Il problema era ciclico fino a qualche anno fa ma ormai sta diventando cronico e le cause sono sempre le stesse: l’invecchiamento della popolazione, le riacutizzazioni dei pazienti cronici, l’aumento della domanda e la mancanza di risposte territoriali.
Era il 2015 quando fu emanato il D.M. 70 Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera che pur nella criticata ridefinizione del rapporto posti letto per acuti ogni 1000 abitanti fissato a 3,7, mirava comunque al “riequilibrio dei ruoli tra ospedale e territorio e una più adeguata attenzione alle cure graduate (…), l'uso appropriato delle risorse, (…) implementando forme alternative al ricovero” integrando la rete ospedaliera a quella dei servizi territoriali.
Un principio che avrebbe dovuto dare un forte impulso alla creazione degli ospedali di comunità, quella struttura intermedia che “prende in carico pazienti bisognosi di interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio ma che necessitano di ricovero in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio (strutturale e familiare), di sorveglianza infermieristica continuative ma senza l’intensità del posto letto per acuti”.
A questo si sarebbe dovuto aggiungere quanto previsto dal D.M. 77 del 2022 (Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario) che dava seguito allo sviluppo delle case della comunità, centro e fulcro della sorveglianza territoriale con la presa in carico del paziente da parte dell’infermiere di famiglia e comunità e della conseguente assistenza domiciliare fatta di attività di prevenzione, educazione sanitaria, sorveglianza della cronicità e di tutti gli interventi finalizzati a limitare l’accesso in pronto soccorso e ricovero se non per reali necessità, il tutto armonizzato da una precisa connessione e suddivisione di ruoli e compiti a risolvere la necessità di portare la medicina sul territorio e riservare pronto soccorso e ospedale ad emergenza urgenza e acuzie. Qualcosa che in altre regioni è già stato gatto da anni senza che babbo grande aabbia sgridato nessuno.
Cosa si è fatto in Sardegna nel frattempo? Una riforma, una contro riforma e (in discussione) una riforma della contro riforma del Servizio Sanitario Regionale, insomma “pacco, doppio pacco e contropaccotto” che nulla cambia. Poco di quanto previsto dai citati decreti ministeriali è stato realizzato perché bisogna dire la verità, la priorità per tutti (e gli ultimi arrivati al governo della regione non fanno eccezione), è sempre stata dapprima trovare il modo per far fuori le direzioni (di referenza politica ovviamente) messe al governo del servizio da chi aveva preceduto i vincitori delle nuove elezioni. E così si è assistito a tutto e al contrario di tutto, a lotte tra fazioni di ogni ordine e grado, senza rendersi conto che la nave aveva falle dappertutto e rischiava di affondare. Falle che oggi non è più necessario tappare perché la nave è abbondantemente affondata lasciandoci una sanità alla deriva su qualche zattera che con tutte le forze, pochi disperati, tentano di condurre su qualche isola deserta.
Si deserta, sarebbe auspicabile, soprattutto dall’influenza della politica che è tutta responsabile senza distinzioni avendo governato tutti in questo arco temporale, da destra a sinistra.
Ma siccome un’amministrazione c’è e guarda caso governa già l’isola, quello che possiamo fare è un semplice quanto accorato invito: dimostrate che quanto avete urlato in campagna elettorale “fuori la politica dalla sanità” non era solo uno slogan, lasciate perdere le pozioni magiche per cacciare le dirigenze in carica e piuttosto, date loro l’obbiettivo chiaro di fare quello che le leggi in vigore hanno già pensato per risolvere i problemi; ogni altra azione non farebbe che far perdere tempo ulteriore e ci pare che questo sia abbondantemente scaduto.