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Infermieristica in crisi: per la prima volta più posti che domande, SSN verso il collasso

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 13/09/2025

FormazioneProfessione e lavoroStudenti infermieriStudi e analisi

 13 settembre 2025

Ne avevamo già parlato ma oggi i dati sono aggiornati e disponibili e così possiamo definitivamente confermare che nel nuovo anno accademico 2025/26, per la prima volta in Italia i posti disponibili per la laurea in Infermieristica (20.699) superano le domande di iscrizione (19.298), con le immatricolazioni effettive che potrebbero risultare ancora inferiori. Negli atenei pubblici, le domande sono scese da 19.421 a 17.215 rispetto a 18.918 posti disponibili, con un calo dell’11%. Al Nord, nelle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, il rapporto candidati/posti oscilla tra 0,6 e 0,7, mentre al Sud la domanda supera ancora l’offerta, seppure in diminuzione.

Un dato significativo riguarda il “semestre filtro” di Medicina: circa il 20,4% degli iscritti a Medicina ha indicato Infermieristica come possibile seconda scelta, il che potrebbe fornire un bacino aggiuntivo di candidati e mitigare in parte il problema delle iscrizioni insufficienti.

Questo fenomeno assume rilevanza in un contesto in cui il Servizio Sanitario Nazionale conta una carenza stimata di almeno 70.000 infermieri, necessari soprattutto per il potenziamento della sanità territoriale e delle nuove Case di Comunità, per le quali si stima un fabbisogno tra 20.000 e 27.000 infermieri di Famiglia o Comunità, attualmente insoddisfatto.

Lo studio del Centro Studi NurSind evidenzia una progressiva erosione salariale negli ultimi 35 anni: un infermiere neoassunto oggi guadagna circa 10.000 euro in meno all’anno in termini di potere d’acquisto rispetto al passato, mentre un professionista con 40 anni di carriera ne perde quasi 16.000. Questa perdita reale di reddito, unita a una ridotta valorizzazione professionale, ha influito negativamente sulla motivazione della categoria.

Secondo l’analisi di Nursind, le principali ragioni della fuga dalla professione infermieristica sono:

  • Stipendi considerati inadeguati rispetto alle responsabilità e agli sforzi richiesti;

  • Carichi di lavoro eccessivi e turni massacranti;

  • Scarse opportunità di crescita e carriera professionale;

  • Mancanza di riconoscimento sociale e difficoltà nel conciliare vita lavorativa e familiare;

  • Gravità di fenomeni come le aggressioni e il burn out, sempre più frequenti nel lavoro in corsia.

Esperti come Saverio Proia e Roberto Di Bella aggiungono e sottolineano inoltre che adeguare gli stipendi agli standard europei non è solo una questione economica, ma un segnale di rispetto per l’importanza del lavoro svolto. Serve un cambio culturale che valorizzi il ruolo autonomo degli operatori sanitari e campagne di comunicazione efficaci per mostrare la complessità e centralità del loro lavoro.

Parallelamente, la FNOPI sottolinea come la crisi infermieristica rifletta un problema demografico e organizzativo più ampio, con una popolazione infermieristica invecchiata, una domanda di assistenza territoriale in crescita e forti disuguaglianze regionali sul fronte retributivo e infrastrutturale. Nonostante l’aumento nel numero dei laureati (dai 8.866 laureati del 2004 si è passati a 11.404 nel 2024 (+28,6%), con una previsione di circa 14.500 nel 2027), il ricambio non è sufficiente a coprire il turnover annuo, stimato intorno a 25.000 uscite per pensionamento.

La situazione attuale genera crescente malcontento tra gli operatori, con quasi il 30% che pensa di cambiare lavoro e punte del 45% nelle aree ospedaliere, dove il rischio di abbandono è maggiore.

Siamo arrivati al punto di non ritorno e la politica non può ulteriormente tergiversare sul tema dopo essere stata distratta dalla falsa mancanza di laureati in medicina e chirurgia che ha portato alla finta abolizione del numero chiuso a medicina. I dati hanno ampiamente dimostrato che la vera emergenza è quella infermieristica e la questione non ammette ulteriori ritardi e non abbisogna di soluzioni diverse da quelle già indicate. Diversamente si dica se trasformare la professione in un incarico per pochi ultraspecialisti pagati il giusto, responsabili di figure subalterne a retribuzione e qualifica inferiore, rappresenti una soluzione. Oppure ancora si abbia il coraggio di decretare la morte di questa professione, destinata evidentemente ad una subalternità il cui costo non possiamo permetterci e lasciamo il compito dell'assistenza alle figure emergenti che tanto a fare un'intramuscolo è capace chiunque.

 

Andrea Tirotto