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Italia, ospedali pronti alla guerra: piani segreti e infermieri in prima linea nel caos

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 15/09/2025

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E dulcis in fundo, si scoprì che anche in Italia si sta lavorando intensamente a un piano di preparazione per gli ospedali in caso di attacco militare, mica si poteva fare finta di nulla mentre gli altri ci apparecchiavano scenari di guerra, d’altronde se lo stesso Presidente Mattarella vede similitudini con il 1914, non resta che prepararsi (beata gioventù).

Al Ministero della Salute infatti, è stato istituito un tavolo tecnico permanente, composto da esperti e rappresentanti di vari settori, che si occupa di sviluppare una strategia di resilienza del sistema sanitario nazionale. Lo scopo è garantire che il sistema sanitario, considerato «un soggetto critico che deve continuare a funzionare in ogni scenario», possa gestire emergenze su larga scala anche in scenari bellici, assicurando continuità e qualità dell’assistenza. Ma pensa un po’, siamo ancora con le pezze al fondo schiena lasciateci dalla pandemia, Piano Pandemico compreso con tutti i dubbi sulla sua efficacia e di cui nulla si sa più dal 8 agosto (quando pareva pronto per l’esame della conferenza stato regioni) ma troviamo il tempo per metterci a lavorare ad un bello scenario di guerra. E’ proprio quello che cittadini e pazienti si aspettano dalle istituzioni come sanno tutti, no? E’ o non è Risiko uno dei più apprezzati giochi da tavola, d’altronde?

Questo piano dovrebbe organizzare la risposta in tre fasi: dalla preparazione e accoglienza delle truppe, passando per la mobilità sul territorio nazionale, fino al supporto nei contesti attivi di combattimento e al rientro dei feriti. È prevista una stretta collaborazione civile-militare, con percorsi formativi comuni ed esercitazioni congiunte per garantire un’approccio integrato e coordinato tra ospedali civili e strutture militari. L’obiettivo è definire ruoli, responsabilità e catena di comando in situazioni catastrofiche attraverso linee guida condivise, seguendo anche requisiti dettati dalla NATO (Minimum operational requirements). Già me le immagino le esercitazioni in mimetica negli ospedali dove mai nella storia si è svolto uno straccio di esercitazione di evacuazione, tanto per fare un esempio.

Come abbiamo riportato, in Francia e Germania sono già stati definiti piani analoghi, in cui le reti ospedaliere civili si preparano a gestire un alto numero di feriti militari. La Francia, per esempio, ha imposto a tutti gli ospedali civili il compito di trasformarsi rapidamente in strutture militari in caso di guerra, con la predisposizione di protocolli di triage bellico e l’attivazione di infermieri con funzioni avanzate, che possono operare con autonomia nella prescrizione e nella gestione clinica in ambito di emergenza. Anche la Germania ha messo in campo piani per ospedalizzare grandi numeri di feriti e creare presidi medici avanzati mobili.

Questi cambiamenti rappresentano certamente l’ennesima sfida per il ruolo infermieristico, chiamato a sviluppare competenze specifiche per intervenire in contesti ad alta complessità e pressione, con nuove responsabilità che vanno dall’assistenza immediata alla gestione della priorità (triage) in situazioni di scarsità di risorse. Come sottolineano gli esperti, "i sanitari sono chiamati a rispondere a uno scenario in cui la scarsità di risorse e l’aumento delle emergenze impongono rapidità, efficacia e capacità di adattamento", e la nostra professione si trova come al solito al centro di questa trasformazione, con la necessità  di integrare competenze cliniche, organizzative e collaborative tra settore civile e militare, oltre a tutto il resto ovviamente. Noi infermieri siamo chiamati a contribuire con professionalità e responsabilità, vivendo questa trasformazione con consapevolezza e impegno e ci mancherebbe, poiché il nostro ruolo sarà come sempre decisivo per il successo di ogni piano di emergenza sanitaria in situazioni estreme, per ovvie ragioni, prima fra tutte quella numerica.

Quel che non mi sento di tollerare ulteriormente è però la scarsità di informazioni reperibili su questioni di tale portata, diventare una pedina di questi ingranaggi mio malgrado, posto che lo scenario in cui l’infermieristica si trova ad operare è già di guerra e di maxiemergenza, considerato che la domanda di salute e i flussi di accesso sono già ampiamente superiori alle possibilità di risposta. Tutta questa preparazione poi, con quali risorse finanziarie e con quale e quanto personale dovrà essere approntata? Possibile che l’Italia, questo disgraziato paese che ancora si porta addosso le ferite di prima, seconda guerra mondiale e di tutte le altre cui assistiamo inermi senza avere il coraggio di incidere nei processi diplomatici di pace, guardi ancora alla guerra come unica soluzione per rimanere attaccata ad un contesto geopolitico che povertà e clima stanno sconvolgendo alla velocità della luce e che dovrebbero preoccuparci molto più delle gare a chi la fa più lontano?

 

Andrea Tirotto