Iscriviti alla newsletter

Il mio primo codice rosso: tra panico e lucidità

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 11/09/2025

FormazioneNarrative Nursin(d)gProfessione e lavoro

11/09/2025 

 

Succede tutto in meno di un minuto. Un attimo prima sei immerso nella routine. Un attimo dopo sei dentro l’emergenza.

Ero di turno in reparto di medicina interna, quarto piano, lunedì pomeriggio. Avevo appena finito di preparare la terapia del pomeriggio. Il collega stava registrando le rilevazioni, io passavo stanza per stanza a controllare i CVP. Una giornata come tante, apparentemente tranquilla.

Nella stanza 41 c’era il signor Martini, 71 anni, ricoverato per una polmonite complicata da insufficienza respiratoria. Lo avevo trovato stanco quel pomeriggio, ma reattivo. Parlava poco, ma rispondeva. Aveva l’ossigeno in occhialini, saturazione al 93%. Nulla che facesse presagire quello che stava per succedere.

Alle 15:17 scatta il campanello. Non il suono normale, quello continuo. Il collega si alza, ma io sono più vicina. Entro.

Il signor Martini è cianotico, boccheggia, gli occhi spalancati. Le mani tese in avanti. Cerca aria.

“Martini! Mi sente?”
Nessuna risposta. Gli occhi si spengono davanti ai miei.

Inizia la corsa. Premo il pulsante rosso sul muro: codice rosso in reparto. Poi urlo:
“Chiama il medico!”
Il collega arriva subito. Tiriamo giù lo schienale, abbassiamo il letto. Io controllo il respiro: assente. Polso: assente. Parte subito il massaggio toracico.

Il mio corpo si muove prima della mia testa. Vado a prendere il carrello d’urgenza, lo apro, controllo la bombola, posiziono il pallone ambu. L’ossigeno parte. Il medico arriva. Intanto un’altra infermiera mi affianca. È lei a preparare l’adrenalina. Io continuo il massaggio.

“Adrenalina EV”, dice il medico. Io spingo. Il tempo si dilata.

Il monitor segna asistolia. Il massaggio continua. 2 minuti, poi altra fiala. Siamo al secondo ciclo.

Non mi accorgo del sudore. Non sento il dolore alla schiena. Vedo solo il torace che si abbassa sotto le mie mani. Il resto scompare. Solo il battito delle compressioni.

Poi, al terzo ciclo, un tracciato. Debole, lento. Ma c’è.

“Ritmo presente. Ha polso!”
Il collega conferma. La saturazione risale piano. Ventiliamo ancora. Il medico chiama la rianimazione: “Paziente rianimato in reparto. Serve trasferimento urgente.”

Il signor Martini non parla, ma respira. È tornato.

Solo allora sento il cuore impazzito nel petto. Solo allora mi rendo conto che sto tremando. Vado in bagno e mi guardo allo specchio. Mi tolgo la mascherina, poi i guanti. E respiro.

Non era una simulazione.
Non era un esercizio da laboratorio.
Era vita vera, in corsia, con la porta della stanza ancora mezza aperta, il flacone di fisiologica mezzo vuoto, il letto in posizione d’urgenza.

Quello è stato il mio primo codice rosso. E non lo dimenticherò mai.

Non per lo shock. Non per la paura. Ma per la consapevolezza.

Ho capito che la differenza non la fa il coraggio. La fa la preparazione. I protocolli ripetuti cento volte. L’intesa tra colleghi. La prontezza. La memoria muscolare delle manovre. Ma anche l’umanità, il sangue freddo che si costruisce turno dopo turno, notte dopo notte.

E ho capito una cosa semplice: non sei mai completamente pronta, ma puoi essere presente. E questo, in certi momenti, può bastare a salvare una vita.