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Screenshot di chat private non legittimano il licenziamento

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 23/09/2025

Leggi e sentenzeProfessione e lavoro

 

Il Garante Privacy sanziona un’azienda per 420.000 euro: uso illecito di messaggi privati nei procedimenti disciplinari

Settembre 2025 – I messaggi scambiati su WhatsApp, Facebook Messenger o altri canali privati non possono essere usati liberamente dalle aziende per avviare procedimenti disciplinari o licenziare un dipendente. Lo ha ribadito il Garante per la protezione dei dati personali, comminando una sanzione di 420.000 euro a una società che aveva trattato in modo illecito contenuti estratti da conversazioni digitali private.

L’intervento conferma un principio fondamentale: le chat private sono tutelate dalla legge. Utilizzarle come prova senza basi giuridiche valide non solo viola il diritto alla riservatezza del lavoratore, ma espone il datore di lavoro a sanzioni economiche e a contenziosi legali.

Chat private e social non sono “terra di nessuno”

Nel caso esaminato, l’azienda aveva ricevuto da terzi una serie di screenshot provenienti da conversazioni private – tra cui messaggi WhatsApp e post visibili solo a cerchie ristrette su Facebook – e li aveva utilizzati per contestare il comportamento di una dipendente e giustificarne il licenziamento.

Secondo il Garante, anche il semplice utilizzo di questi dati, pur se ottenuti da fonti esterne, costituisce trattamento di dati personali. E come tale è soggetto ai vincoli del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR): liceità, finalità specifica, necessità e minimizzazione dei dati sono principi inderogabili.

La Costituzione tutela la riservatezza digitale

Con la sentenza n. 170/2023, la Corte Costituzionale ha chiarito che le comunicazioni elettroniche – comprese quelle scambiate via chat o messaggistica istantanea – rientrano nella protezione prevista dall’articolo 15 della Costituzione, che garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza.

Una conversazione privata, anche se digitale, gode quindi di una tutela analoga a quella della posta tradizionale. Il contenuto può essere utilizzato solo nei limiti di legge, ad esempio con il consenso del soggetto interessato o su ordine dell’autorità giudiziaria.

La Cassazione: i messaggi privati non bastano

Anche la giurisprudenza di legittimità ha posto paletti precisi. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5334 del 28 febbraio 2025, ha stabilito che il contenuto di una chat privata non può giustificare un licenziamento, salvo che il datore di lavoro dimostri di aver acquisito quei dati nel rispetto delle regole sulla privacy.

Non basta che un messaggio sia stato “girato” da un collega o diffuso internamente: se la conversazione è avvenuta in un contesto privato, tra destinatari determinati, non è utilizzabile come prova disciplinare senza autorizzazione esplicita.

Sanità e digitale: serve una cultura della privacy

Nel mondo sanitario, dove le dinamiche tra colleghi si intrecciano spesso anche attraverso strumenti digitali, questo principio assume particolare rilievo. Molti infermieri utilizzano chat di gruppo o strumenti social per confrontarsi, ma la riservatezza delle comunicazioni va tutelata con rigore.

Per i dirigenti delle strutture sanitarie, questo significa:

  • Non utilizzare messaggi privati come base per sanzioni senza una valutazione giuridica puntuale;

  • Definire policy interne chiare su uso di dispositivi digitali e social media;

  • Formare il personale su diritti e doveri in materia di comunicazione digitale e protezione dei dati personali.

Un’infermiera o un infermiere che riceva una contestazione basata su chat private ha pieno diritto di impugnare il provvedimento, se i contenuti sono stati acquisiti senza rispetto del GDPR e delle garanzie costituzionali.

L’uso di screenshot di conversazioni private come strumento disciplinare non è solo scorretto, ma anche illegittimo. Il diritto alla riservatezza non si dissolve nell’ambiente digitale: rimane protetto, anche nei gruppi WhatsApp tra colleghi o nei messaggi diretti sui social.

Il Garante per la Privacy lo ha confermato con una sanzione pesante. E la giurisprudenza, tanto costituzionale quanto ordinaria, lo rafforza: la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore è un limite invalicabile, anche per il datore più rigoroso.

 

 

Cosa può e cosa non può fare il datore di lavoro con i messaggi privati

Azione È legittima? Note giuridiche
Usare screenshot di una chat privata tra colleghi per contestare un comportamento ❌ No Violazione dell’art. 15 Cost. e dei principi del GDPR. La chat è considerata corrispondenza privata.
Ricevere messaggi privati da un altro dipendente e utilizzarli come prova ❌ No Anche se forniti da terzi, l’azienda effettua un trattamento di dati che richiede una base giuridica valida.
Acquisire contenuti da profili social chiusi o visibili solo a un gruppo ristretto ❌ No L’accesso limitato implica un’aspettativa di riservatezza. Senza consenso, l’uso è illecito.
Utilizzare messaggi pubblici o commenti su social accessibili a tutti ✅ In parte Solo se il contenuto è oggettivamente lesivo dell’immagine aziendale o viola obblighi contrattuali. Valutare caso per caso.
Sanzionare un dipendente per contenuti privati con il suo consenso esplicito alla verifica ✅ Sì A condizione che il consenso sia libero, informato e specifico (non forzato).
Inserire nei regolamenti interni policy sull’uso dei social e delle chat aziendali ✅ Sì Utile strumento preventivo, ma non può derogare alle tutele costituzionali o del GDPR.

 

Fonti:

  1. Garante Privacy, Provvedimento del 25 luglio 2024 – Sanzione di 420.000 euro per trattamento illecito di dati personali
    https://www.federprivacy.org

  2. Corte Costituzionale, Sentenza n. 170/2023
    https://www.medialaws.eu

  3. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 5334/2025
    https://olympus.uniurb.it

  4. Dottrina Lavoro – Trattamento illecito dei dati personali ai fini disciplinari
    https://www.dottrinalavoro.it

  5. Studio Legale Albi – Privacy e dati tratti da Facebook/WhatsApp
    https://www.studiolegalealbi.com