Sumud Flottilla: la flotta di infermieri e medici che sfida l’assedio
Sono undici le imbarcazioni partite dall’Italia con oltre 250 persone a bordo: operatori sanitari, giornalisti, attivisti. Una missione umanitaria che grida al mondo: curare non è un crimine.
6 Ottobre- Dopo giorni di preparativi, è salpata dal Mediterraneo la Sumud Flottilla, una nuova missione umanitaria diretta verso Gaza. Non è una spedizione militare. È una flotta di coscienze, composta da undici imbarcazioni, tra cui un vero e proprio ospedale galleggiante, con a bordo più di 250 persone provenienti da venti Paesi diversi: medici, infermieri, giornalisti e attivisti.
Sono partiti dai porti italiani di Catania e Otranto. Sanno bene a cosa vanno incontro. Ma sono partiti lo stesso.
“Fermarci non è sicurezza. È complicità con l’agonia” — ha scritto uno dei portavoce, Vincenzo Fullone, dalla nave Conscience.
Un ospedale in viaggio
La Conscience, nave ammiraglia della flotta, è lunga 68 metri. Porta con sé personale sanitario, farmaci da banco, disinfettanti, strumenti chirurgici, materiale per medicazioni. Porta cure, sollievo, resistenza.
È “un ospedale che galleggia”, come lo definisce Fullone. Un’équipe internazionale di sanitari lavora già da giorni a bordo, classificando e catalogando medicinali, pronti ad affiancare i colleghi di Gaza. In quelle corsie trasformate in macerie, in quei reparti che resistono sotto le bombe, dove si opera senza anestesia, dove i neonati muoiono perché non c’è corrente elettrica.
Accanto alla Conscience, navigano le barche a vela Al-Awda e Ghassan Kanafani – quest’ultima costretta a una sosta tecnica a Creta – e altre otto imbarcazioni partite da Catania sotto la bandiera del movimento Thousand Madleens to Gaza. A bordo ci sono medici come Francesco Prinetti, torinese, e Riccardo Corradini, chirurgo trentino già attivo a Gaza nel 2019.
“Andiamo per restare umani”
Le parole dei sanitari che hanno scelto di salire a bordo non hanno retorica. Non cercano gloria, cercano giustizia.
“Spero di arrivare alla costa per aiutare chi, nei resti degli ospedali, lavora senza tregua da due anni” — ha detto il medico malese Hafiz Sulaiman.
La Sumud Flottilla è un’azione concreta, ma anche simbolica. Non si limita a consegnare beni – già questo sarebbe fondamentale – ma cerca di spezzare l’assedio con la presenza umana. Perché in un mondo che si abitua alla morte trasmessa in diretta, salire su una barca e scegliere di curare è un atto politico.
Il diritto alla salute non ha confini
Secondo il diritto internazionale, i medici e gli infermieri in zone di conflitto sono “persone protette”. Nessuno Stato può arrestarli per il semplice fatto di voler salvare vite.
Lo ricorda il giurista Enzo Cannizzaro: Israele, che ha ratificato la IV Convenzione di Ginevra, dovrebbe permettere il passaggio dei sanitari e degli aiuti umanitari, anche in presenza di un blocco navale. Bloccare medicine e soccorritori è una violazione del diritto umanitario, che proibisce espressamente di affamare o privare di cure la popolazione civile.
Eppure, la spedizione precedente – la Global Sumud Flotilla del 2 ottobre – è stata intercettata dalla marina israeliana. La stessa sorte potrebbe toccare anche a questa.
Ma chi è a bordo non si fa illusioni:
“Se ci fermeranno, vorrà dire che il mondo dovrà scegliere da che parte stare. Noi la nostra parte l’abbiamo già scelta” — ha detto Michele Borgia, portavoce italiano della Freedom Flotilla.
Una flotta, mille nomi
Sumud significa “resilienza” in arabo. Ma significa anche non arrendersi al silenzio. Il movimento Thousand Madleensprende il nome da una bambina di Gaza, Madleen, uccisa in uno degli ultimi bombardamenti. Mille Madleens, mille nomi, mille vite spezzate. Ogni barca, ogni nome, ogni professionista sanitario rappresenta un pezzo di umanità che rifiuta di voltarsi dall’altra parte.
Il finale è ancora aperto
In queste ore la Conscience prosegue verso sud, diretta verso le acque egiziane, dove tenterà l’avvicinamento a Gaza. L’entrata nella cosiddetta “zona rossa” – considerata sotto giurisdizione israeliana – è il punto più critico. Potrebbe esserci un blocco, un sequestro, o peggio.
Ma c’è qualcosa che questa flotta ha già ottenuto. Ha riportato Gaza sotto i riflettori. Ha ricordato che non si può bombardare un diritto. Ha dimostrato che si può scegliere la cura anche quando il mondo sceglie la guerra.
In mare non ci sono muri. Solo onde, coscienza e coraggio. E chi, tra un ospedale distrutto e un’altra notte senza anestesia, ha deciso che il silenzio non è più un’opzione.