Dallo scompenso cardiaco alla depressione. Cosa rischiano gli Infermieri chiamati a combattere il nemico COVID-19
Il triste fatto di cronaca accaduto ieri a Jesolo, riguardante il suicidio di una collega di 49 anni che lavorava nella terapia intensiva del locale ospedale, ci ricorda che la nostra professione è sottoposta a numerose sollecitazioni psicofisiche, tante e tali che da tempo, e a ragione, il NurSind chiede venga inserita tra i lavori altamente usuranti.
Tra i tanti fattori di rischio, oggi si aggiunge, ad una lista fin troppo lunga, anche il rischio di contrarre il Coronavirus, con tutte le complicanze che ne conseguono.
Ma il COVID-19 è solo l’ultimo di una serie di pericoli diffusi all’interno del difficoltoso campo minato che caratterizza il nostro lavoro.
I carichi di lavoro eccessivi, il demansionamento, la scarsa retribuzione, l’aumento delle responsabilità civili e penali, i frequenti episodi di aggressione, i conflitti con i pazienti e i loro familiari, il confronto quotidiano con la sofferenza o la morte dei pazienti, contribuiscono ad alimentare quello che in gergo tecnico si chiama “stress lavoro correlato”.
Per stress lavoro correlato si intende quella particolare forma di stress legata specificamente all’ambito professionale. Secondo l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro si ha stress lavoro correlato quando “le richieste dell’ambiente di lavoro vanno oltre le capacità del dipendente di superarle o controllarle”.
La Legge prevede, per il datore di lavoro, un obbligo ben preciso di valutazione dello stress lavoro correlato (D. Lgs. N. 81/2008 e D. Lgs. 106/2009) e anche il Codice Civile sostiene chiaramente tale principio, dove all’articolo 2087 si prevede il diritto-dovere per il datore di lavoro di garantire “[…] l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro […]”.
Le conseguenze dello stress lavoro correlato sono numerose e si possono riflettere sia sulla condizione psicofisica dei lavoratori, sia sulle loro prestazioni lavorative e sulla relazione con i pazienti.
Per quanto concerne il primo gruppo, va detto che numerose ricerche hanno dimostrato la forte connessione tra stress lavoro correlato e il rischio di attacco coronarico ed infarto del miocardio. Addirittura, alcuni studi molto recenti hanno dimostrato che il rischio di scompenso cardiaco aumenta di quasi 700 volte entro il primo anno dalla diagnosi di un disturbo stress-correlato! Inoltre, in seguito alla comparsa di tale disturbo, c’è un’alta probabilità che si sviluppino disturbi psichici come ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare, dipendenza da alcol o droghe, disturbi del sonno.
Non meno importanti sono le ripercussioni dello stress sulla prestazione lavorativa, laddove numerosi studi condotti dal Ministero del Lavoro e dall’INAIL dimostrano che questi determina un aumento del tasso di errori, incidenti e infortuni sul lavoro.
Infine, non sono da sottovalutare quelli che sono gli effetti sulla relazione con i pazienti: lo stress influenza in modo rilevante il rischio clinico poiché la qualità della prestazione, in termini di efficienza, efficacia, appropriatezza e sicurezza, è direttamente proporzionale allo stato di salute fisica e mentale degli operatori.
E ora, dicevo, il COVID19 che, se non altro, oltre ad aggiungersi alla lunga lista di rischi per il personale infermieristico, ha acceso i riflettori su una professione seriamente a rischio.
Ci auguriamo che, insieme al ritrovato senso patriottico degli italiani, che ha fatto si che gli infermieri assurgessero al ruolo di “eroi”, si riescano a tradurre le buone intenzioni e le vaghe promesse, a cominciare da quelle dei governanti, in azioni pratiche a beneficio della salute di tutti noi.
Magari cominciando a riscrivere quei Contratti Nazionali di Lavoro in maniera più equa, laddove “equo” non deve più essere sinonimo di “tutto a tutti”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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- Ministero della Salute. “Manuale di formazione per il governo clinico: la sicurezza dei pazienti e degli operatori”. Roma, 2012, pag. 83