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Se fai il tampone ti licenzio. Ecco come alcune società lombarde avrebbero gestito gli Infermieri ADI. Il racconto

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 25/05/2020 vai ai commenti

AttualitàCoronavirus

Sono stati tanti gli errori che hanno portato all’allargarsi del contagio, alcuni eclatanti, balzati alla cronaca, come i casi di Nembro e Alzano, ed altri sommersi, ma altrettanto gravi, che mostrano palesemente come il profitto sia più importante del contagio.

Quanto raccontato a seguire è aberrante: per le società datrici lombarde, responsabili dell’assistenza domiciliare sembrerebbe essere meglio non sapere se i loro dipendenti hanno contratto il Covid-19, sarebbe un grosso problema organizzativo saperlo. E se decidi in maniera autonoma di fare un tampone, non lavori più.

 

A raccontarcelo è un’infermiera, delusa, arrabbiata, che nella nostra conversazione esordisce così: “Dopo 32 anni di servizio mi sono sentita dire che non dovevo fare l’esame sierologico perché ho creato problemi per la copertura dei turni, le sembra normale?”

Sono una libera professionista che nel momento dell’emergenza Covid 19 ha risposto alla chiamata di aiuto che è arrivata dall’ospedale di Codogno, il 23/2/2020,  sono andata a lavorare nel primo reparto Covid d’Italia e questo non perché avessi bisogno di lavoro perché lavoravo già come infermiera domiciliare (Adi) nel territorio di Milano sud ma perché ho risposto ad un appello visto sui social di colleghi in difficoltà. Il mio impegno non è stato continuo, ho dovuto conciliare il tutto con gli  impegni lavorativi già presi con le società con cui lavoravo, le ho avvisate e ho spiegato loro cosa mi spingeva a rispondere all’appello di Codogno; la mia decisione non è stata accolta di buon grado, mi è stato suggerito di rinunciare con affermazioni del tutto discutibili, come - perché dovevo andare a cercarmi guai visto che un lavoro ce l’avevo già - se tutti avessimo pensato così nessuno avrebbe assistito i pazienti Covid-19”.

“Tornata a Milano dopo 10 notti consecutive nell’Ospedale di Codogno, ho ripreso le attività domiciliari, senza quarantena, non prevista per gli operatori sanitari. Nei giorni a seguire ho cominciato ad accusare problemi come la perdita del gusto e dell’olfatto, ma allora, all’inizio di quella che sarebbe stata una pandemia, nessuno sapeva che fossero sintomi legati al Covid;  ho sempre continuato a lavorare fino a che un giorno ho cominciato ad avere dispnea; ( eravamo in piena pandemia e andare in un ospedale era da folli) d’accordo con il mio medico curante e non avendo febbre mi sono fermata qualche giorno e le cose si sono risolte”.

“In tutti questi mesi mi sono controllata tutte le mattine la temperatura è la saturazione, ed ho continuato a lavorare con tutti i dpi, questo non perché le società me li fornisse ma perché li ordinavo io e li pagavo io, per garantire la mia salute e quella dei pazienti che mi erano affidati. In questi mesi ho inviato diversi pazienti in ps per iperpiressia e ogni volta stavo in attesa del referto del tampone o della tac che veniva fatto loro, mi sentivo quasi più tranquilla a lavorare a Codogno che presso i domiciliari”.

E fino a qui nessun problema, le società datrici non si sarebbero di certo preoccupate di fornire i Dpi a protezione della dipendente e dei pazienti. L’importante è che l’infermiera ci fosse, presente, a coprire i turni.

La settimana scorsa ho deciso di fare gli esami sierologici e informo le società per cui lavoro. L’esito dell’esame è stato dubbio;  a questo punto dovevo stare a casa fino a quando non avessi fatto un tampone.  Il mio medico mi segnala in ATS , ed io per anticipare i tempi lo prenoto privatamente, questo per creare meno problemi ai colleghi e alle società per cui lavoro. Pensavo di essermi comportata in maniera corretta invece non è così! Una delle società datrici mi ha  ammonito per aver fatto il sierologico e che prima di compiere questa scelta avrei dovuto coordinarla con loro. Il motivo? L’aver fatto il sierologico e l’attesa del tampone a casa ha creato loro il problema di trovare un infermiere che mi sostituisse, e chi se ne frega se sono positiva e sono un untore per i pazienti a me affidati”.

“Avevo già chiesto alla società di fare una convenzione per fare i sierologici( infermieri-badanti-oss)in modo anche di pagarli  meno, sapete cosa mi hanno risposto?  - non andiamo a scoperchiare il vaso di Pandora. Io ho creato problemi organizzativi”.

“Ecco cosa succede nella super Lombardia, questa è la realtà di alcune società che lavorano sull’assistenza domiciliare: Massimo profitto con poco investimento. E chi se ne frega se un infermiere può avere o meno contratto il Covid 19 o può trasmetterlo, l’importante è non creare problemi organizzativi. Inoltre per aver fatto il sierologico mi è stato anche detto che al mio rientro non so se continuerò a lavorare”.

Questa è realtà, Continuano ad essere solo “carne da macello”

 

Di Marialuisa Asta