Oltre il Mobbing: la sottile linea dello Straining nel mondo del lavoro
Nel mondo frenetico dell'assistenza sanitaria, il benessere dei nostri professionisti è fondamentale per garantire la migliore cura ai pazienti. Purtroppo, il mobbing, o bullismo sul luogo di lavoro, è un problema che colpisce in modo significativo il personale sanitario.
Da oggi nasce una nuova rubrica con l'obiettivo di affrontare apertamente questa sfida critica, offrendo risorse, informazioni e supporto a coloro che potrebbero essere coinvolti.
In "Affrontare il Mobbing Sanitario,"esploreremo ogni aspetto di questo problema, dal riconoscimento dei segnali precoci all'adozione di misure preventive e alle procedure di denuncia. Inoltre, condivideremo storie di successo e consigli pratici per aiutare i professionisti sanitari a superare le sfide legate al mobbing.
La giurisprudenza italiana ha tracciato una definizione chiara del mobbing, identificandolo come una condotta persecutoria e vessatoria da parte di datori di lavoro, superiori o colleghi che si manifesta con comportamenti ostili, reiterati e sistematici. Tuttavia, cosa succede quando il trattamento ingiusto subito non rientra completamente in questa categorizzazione?
Una recente ricerca su oltre tremila casi lavorativi analizzati in dieci anni ha rivelato che solo il 20% delle situazioni di presunto mobbing poteva essere effettivamente classificato come tale. Il restante 60%, pur avendo subito un trattamento ingiusto, discriminante e lesivo, non poteva essere definito mobbing. Invece, si inserisce in una categoria meno conosciuta ma altrettanto dannosa: lo straining.
Il termine "straining", coniato dallo psicologo del lavoro Harald Ege, descrive una situazione in cui un lavoratore è sottoposto a trattamenti ingiusti e discriminanti, ma a differenza del mobbing, mancano la continuità e la ripetitività delle azioni. Ege ha identificato sette parametri per riconoscere lo straining, tra cui la durata di almeno sei mesi, la costanza delle conseguenze negative e la presenza di un intento persecutorio.
Lo straining si colloca a metà strada tra il mobbing e lo stress occupazionale. Non è mobbing perché manca la sistematicità delle azioni ostili, ma supera lo stress occupazionale in quanto il trattamento è intenzionale, discriminante e forzato. Le vittime di straining subiscono uno stress superiore a quello richiesto dalle loro mansioni, con effetti a lungo termine.
Il termine straining deriva dall’inglese “to strain”, e letteralmente può essere tradotto con il significato di “tendere”, “mettere sotto pressione”, “stringere”. Il termine è stato coniato dal Dottor Harald Ege, studioso della Psicologia del lavoro ed autore di numerosi scritti in materia, il quale, durante numerosi colloqui con vittime di soprusi e violenze psicologiche sul luogo di lavoro, si rese conto che si trattava di soggetti che erano stati sottoposti a trattamenti ingiusti e discriminanti, che, però, a differenza delle condotte mobbizzanti, non erano caratterizzati dalla continuità e ripetitività.
Nei suoi studi, il Dott. Ege ha individuato “sette parametri” per riconoscere una situazione di straining (così Harald Ege, Oltre il Mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, ed. Franco Angeli, Milano, 2005):
1) La situazione di conflitto deve svolgersi sul luogo di lavoro
2) Le conseguenze della azione ostile devono essere costanti
3) La situazione di conflitto deve durare almeno 6 mesi
4) Le azioni subite devono appartenere ad almeno una delle seguenti categorie: attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, demansionamento o privazione di qualunque incarico, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza, sia fisica che sessuale
5) La vittima dello straining si deve trovare in una situazione di costante inferiorità
6) La vicenda ha raggiunto almeno la II fase del Modello individuato da Ege (Fase 1: azione ostile; Fase 2: conseguenza lavorativa percepita come permanente; Fase 3 : conseguenze psicofisiche; Fase 4: uscita dal lavoro)
7) Deve sussistere un intento persecutorio.
In Italia, Il fenomeno dello straining è stato recepito dalla Giurisprudenza italiana con la famosa sentenza del Tribunale del lavoro di Bergamo, del 20 giugno 2005, secondo cui: “Il cosiddetto mobbing consiste in una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo o gravita. Tale fenomeno si distingue dal cd. straining che è costituto da una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre a essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona che attua lo straining in persistente inferiorità. Pertanto, mentre il mobbing si caratterizza per una serie di condotte ostili e frequenti nel tempo, per lo straining è sufficiente una singola azione con effetti duraturi nel tempo (come nel caso del demansionamento)”.
Lo straining, come il mobbing causa nella vittima un danno esistenziale specifico, legato al peggioramento e decadimento della sua qualità di vita, a cui possono – ove sussistenti e provati – aggiungersi anche un danno biologico (laddove lo straining abbia causalmente compromesso la salute psicofisica della vittima), e un danno professionale (ad es. legato alla perdita di chance, al mancato aggiornamento, differenze retributive).
Articoli precedenti:
Il mobbing nel contesto infermieristico. Cause e conseguenze