Perforazione intestinale da clistere: infermiera assolta, NurSind in prima linea nella difesa
Torino – Si è concluso dopo quasi sei anni l’incubo giudiziario dell'infermiera dell’ospedale di Chivasso, accusata di aver causato lesioni a una paziente durante un clistere. La Corte d’Appello di Torino, ribaltando la condanna in primo grado del Tribunale di Ivrea, ha decretato ieri l’assoluzione con formula piena: “Il fatto non sussiste”.
Un verdetto che rappresenta non solo una svolta per la vita personale e professionale della professionista, ma anche una vittoria per il sindacato NurSind, che si è attivato fin dall’inizio per tutelare la collega, sottolineando l’importanza di garantire equità e giustizia per gli operatori sanitari.
Un caso controverso
I fatti risalgono al 17 marzo 2019, quando l'infermiera, 34 anni, fu accusata di aver provocato danni fisici a una paziente durante una procedura clinica standard. In primo grado, la decisione del tribunale di Ivrea portò a una condanna, sollevando numerose polemiche tra i professionisti del settore. Tuttavia, la sentenza di secondo grado ha completamente rovesciato il giudizio iniziale: “Il fatto non costituisce reato”, hanno stabilito i giudici torinesi, evidenziando l’assenza di elementi per configurare una responsabilità penale.
NurSind: "Una vittoria di principio"
Il sindacato degli infermieri NurSind si è schierato fin dall’inizio al fianco dell'infermiera, sostenendo la necessità di un processo equo e di un’analisi obiettiva dei fatti. “Questa assoluzione è una vittoria non solo per la nostra collega, ma per tutta la categoria infermieristica”, ha commentato un rappresentante del sindacato. “Gli infermieri sono costantemente esposti a pressioni enormi, e casi come questo dimostrano l’importanza di avere un supporto sindacale forte per difendere la loro professionalità”.
La difesa: “prassi seguite correttamente”
“Le sentenze si appellano, non si commentano”, ha dichiarato l’avvocato Giovanni Anania, legale difensore, a margine della sentenza. Secondo il legale, l’infermiera non aveva commesso alcun errore e aveva agito seguendo le procedure stabilite dall’ospedale. “La prima sentenza era priva di logica – ha spiegato Anania – e l’assoluzione in appello ne è la dimostrazione. La mia assistita non ha mai ricevuto contestazioni dall’azienda sanitaria, confermando che il suo comportamento era conforme alle regole.”
Un tunnel durato sei anni
L’assoluzione con formula piena segna la fine di un calvario giudiziario lungo sei anni. “È come uscire da un tunnel buio”, ha commentato il legale, sottolineando come il verdetto di secondo grado sia stato emesso con una formula più ampia rispetto alla semplice “non punibilità”.
Prospettive future
Sebbene la procura o la parte civile possano decidere di ricorrere in Cassazione, questa sentenza rappresenta una pietra miliare nella vicenda, offrendo un momento di sollievo per l’infermiera e il suo team di difesa. Per il NurSind, l’esito del processo è un esempio concreto di come il sindacato possa svolgere un ruolo cruciale nel supportare gli infermieri anche nelle situazioni più difficili.
Il caso diventa così simbolo di una battaglia più ampia per il riconoscimento e la tutela dei diritti degli operatori sanitari, quotidianamente impegnati in un lavoro complesso e delicato, spesso sotto il peso di responsabilità straordinarie.