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Nuovo Piano Pandemico: scienza e politica a braccio di ferro. Ecco cosa prevede la bozza

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 22/02/2025

AttualitàCoronavirusGovernoParlamento

La bozza del “Piano strategico operativo di preparazione e risposta ad una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico 2024-2028” è pronta e Quotidiano Sanità ne ha messo a disposizione in anteprima il testo.

Quella del piano pandemico è una storia che ha contribuito a rendere ancora più buia se possibile, la tenebrosa pagina della pandemia covid in Italia. Si perché non è che non ne avessimo uno ma come noto, quello aggiornato nel 2006 si è tramandato fino al 2020 sostanzialmente identico a se stesso dimostrando tutta la sua inadeguatezza relativamente all’impreparazione nell’affrontare una pandemia di tipo influenzale, così da dover essere aggiornato in regime emergenziale e ancora rivisitato nel 2022 in chiave di rafforzamento delle strutture sanitarie e dei sistemi di sorveglianza, prevenzione e preparazione a nuove varianti, gestione ottimale dei materiali e delle risorse umane, adeguamento alle linee guida in tema di piani di vaccinazione massiva e distribuzione delle dosi, gestione di comunicazione e informazione e piani di intervento locali.

Nell’Italia odierna dove le opinioni contano più di una ricerca scientifica, dove la scienza è piegata a ragioni elettorali e dove l’orgoglio di patria ha smesso di risvegliarsi anche quando gioca la nazionale, si poteva semplicemente lavorare ancora alle disparità che caratterizzano l’accesso alle risorse tra regione e regione, l’organizzazione di ogni singolo servizio sanitario regionale, così da creare uniformità di approccio, governo e azione in caso di nuova emergenza?

Evidentemente no stando alla lettura del piano.

Certamente appare rassicurante che questo sia stato redatto a partire dalle più recenti pubblicazioni e raccomandazioni dell’OMS e dell’ECDC oltre che all’esperienza pandemica; infatti “il Piano - precisa il Ministero in una nota - contiene ogni misura che potrebbe rendersi necessaria per proteggere i cittadini di fronte ad un’emergenza pandemica e, così come chiaramente descritto, ne prevede una modulazione, anche temporale, in base all’andamento epidemiologico, all’efficacia, e alle effettive necessità.

È opportuno anche sottolineare come il Piano, che rappresenta un’evoluzione rispetto a quello precedente, indirizzato alla prevenzione di una pandemia influenzale, potrà implementare, tra l’altro, misure concrete come il potenziamento dei Dipartimenti di Prevenzione, l’ampliamento della rete dei laboratori di microbiologia e virologia, il potenziamento della ricerca, soprattutto nei suoi aspetti traslazionali già nella prossima Conferenza Stato Regioni”.

Grande importanza ha rivestito anche il PanFlu 2021-2023, esteso a patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico. Tra gli obbiettivi vi era anche l’armonizzazione con la normativa Ue che vede la nuova struttura Hera - l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie forte di un bilancio di 6 miliardi di euro per il 2022-2027 - come principale interlocutore in campo. L’approccio è quello per gradi nel passaggio dalla fase di “sorveglianza integrata” a “interpandemica” a quella di “allerta pandemica” con interventi progressivi legati a criteri e segnali che determineranno anche l’attivazione dei piani regionali.

Sarà poi compito del Public Health Emergency Operations Centre (Pheoc) presso il ministero della Salute, gestire gli eventi e l’eventuale progressione da epidemia a pandemia da patogeni respiratori, in stretto coordinamento con le sale operative regionali e quelle di altri settori come la Protezione civile.

Ma se da un lato il documento appare solido, considerato che nel gruppo di lavoro sedevano anche i rappresentanti delle regioni, a legger bene sembra che anche questa partita abbia subito una sorta di influenza polito-elettorale con riferimento alle polemiche politiche e ammiccamenti a quelle posizioni antiscientifiche che hanno dilaniato e ancora spaccano non tanto l’opinione pubblica, quanto chi di questa opinione si arroga il diritto di esserne interprete.

Riguardo la questione vaccini, non sorprende allora se il loro ruolo appaia ridimensionato se in caso di necessità l’azione conseguente è valutarne la disponibilità. “Avere a disposizione un vaccino specifico per il patogeno responsabile di una pandemia permette di controllare e mitigare l’impatto della stessa, potendo ridurre soprattutto la gravità della malattia - si legge nel documento -. Pertanto, in fase di prevenzione, preparazione e valutazione del rischio, si valuterà la disponibilità e la capacità di approvvigionamento di vaccini contro i patogeni respiratori potenzialmente responsabili di una pandemia per poter pianificarne e garantirne la disponibilità, rispettivamente, in fase di allerta e risposta” e tenere conto di alcune sfide “relative sia alla disponibilità di più vaccini con caratteristiche diverse, sia alla dimensione delle popolazioni dei gruppi prioritari e alla loro diversità, che ad altri aspetti, tra cui forniture adeguate, tempistiche appropriate, modalità di stoccaggio e strategie di distribuzione”. Insomma i vaccini non sarebbero la soluzione e il loro ruolo parrebbe fortemente depotenziato.

Insomma, un documento tecnico che deve essere redatto da tecnici e che deve seguire rigorosi criteri scientifici e rappresentare una granitica certezza, non è stato immune da influenze strumentali prive di altrettanto rigore che non possono e non devono trovare udienza quando è in gioco la vita di milioni di persone.

E se questo indizio non è una prova di asservimento a ragioni elettorali, come può non destare sospetti di politicizzazione della discussione il fatto che “in caso di patogeno respiratorio a elevata contagiosità e/o patogenicità possono essere valutate misure restrittive e autorizzate attraverso leggi o atti aventi forza di legge volti a limitare o evitare aggregazioni di persone”? Infatti “di fronte a una pandemia di carattere eccezionale si può presentare la necessità e l’urgenza di adottare misure relative a ogni settore e un necessario coordinamento centrale, valutando lo strumento normativo migliore e dando priorità ai provvedimenti parlamentari. E’ escluso l’utilizzo di atti amministrativi per l’adozione di ogni misura che possa essere coercitiva della libertà personale o compressiva dei diritti civili e sociali. Solo con leggi o atti aventi forza di legge e nel rispetto dei principi costituzionali possono essere previste misure temporanee, straordinarie e eccezionali in tal senso”

Ce le possiamo immaginare le commissioni parlamentari e le aule di camera e senato chiuse a discutere manovre di contenimento mentre fuori i contagi si moltiplicano? Insomma lo strumento del DPCM ed il collegamento delle 20 con la presidenza del consiglio non pare siano servite a unirci nella lotta ma anzi sono diventati materia di scontro strumentale che oggi producono una pezza forse peggiore del buco, con la speranza che questo buco non si riapra mai più.

Il documento dovrà subire ulteriori passaggi prima di entrare in vigore e si può immaginare che la discussione non sia terminata, anzi. Anche perché, paradossale, al momento non ha nessuna copertura finanziaria a parte un generico "le avrà".

 

Andrea Tirotto