Piano Salute Mentale 2025-2030: Svolta Storica o Libro dei Sogni?
Il Ministero della Salute ha trasmesso alla Conferenza Unificata il nuovo “Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale 2025-2030”, frutto del lavoro di un apposito Tavolo Tecnico. Al centro del piano vi sono sei ambiti principali di intervento: dalla promozione della salute mentale alla prevenzione e cura dei disturbi, passando per l’infanzia e l’adolescenza, l’ambito penale e forense, la gestione del rischio clinico, l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, e infine la formazione e la ricerca.
Da un lato, Alberto Siracusano e Giuseppe Nicolò, coordinatore e coordinatore vicario del Tavolo Tecnico che ha redatto il documento, lo definiscono come uno strumento cruciale per promuovere e attuare interventi efficaci a livello regionale, sottolineando il suo valore strategico e operativo.
Dall’altro, il parere dello psichiatra Roberto Mezzina, ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, offre una visione più critica. Secondo Mezzina, il piano presenta diverse problematiche che lo rendono in gran parte irrealizzabile e scollegato dai reali bisogni dei cittadini e degli operatori sanitari.
Mezzina evidenzia che il gruppo di lavoro che ha redatto il piano è composto prevalentemente da accademici e professionisti, a differenza del precedente tavolo tecnico del 2013, che includeva anche rappresentanti di utenti e familiari. Questo si riflette in un documento che, pur essendo fondato sulla letteratura scientifica, non tiene sufficientemente conto delle best practices e della realtà quotidiana dei servizi sul territorio.
Secondo lo psichiatra, il piano non parte da un’analisi delle carenze attuali, come la mancanza di servizi accessibili e capaci di farsi carico dei pazienti. Sostiene che sarebbe stato più utile uniformare gli standard dei Centri di Salute Mentale (CSM) a livello nazionale, stabilendo un modello di riferimento che manca dal 1999. Invece, il documento si basa su dati teorici e non affronta la questione delle risorse, delle competenze e della formazione necessarie per ridurre le disuguaglianze tra le diverse regioni.
Sebbene il piano contenga alcuni spunti positivi, come i servizi per la transizione all’età adulta o quelli per la maternità, Mezzina lo definisce un “libro dei sogni” perché non prevede fondi adeguati per la loro attuazione. Senza un investimento concreto, queste innovazioni rischiano di rimanere solo sulla carta. Questo contrasta con il fatto che il piano stesso riconosce una diminuzione dei servizi e delle prestazioni.
Mezzina critica anche l’approccio prevalentemente medico-clinico del piano, che trascura la fondamentale dimensione sociale della salute mentale.
- Approccio limitato: vengono menzionati concetti come il case manager ma non viene specificato come si integri nel contesto dell’équipe e nell'approccio collettivo.
- Diritti umani e gestione delle crisi: sul tema del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e della contenzione, il piano si limita a raccomandare procedure locali o il monitoraggio, senza prendere una posizione decisa come invece ci si era impegnati a fare in passato.
- Cultura del rischio: Mezzina nota una crescente enfasi sulla “cultura del rischio”, con dispositivi di controllo ambientale (videocamere, allarmi) a discapito di un clima di sicurezza basato sulla relazione umana.
Lo psichiatra conclude mettendo in discussione la possibilità di introdurre innovazioni settoriali quando l’intero sistema dei servizi è fragile e sofferente. Paragona la situazione italiana a quella del Regno Unito, dove un nuovo piano decennale mira a radicare i servizi nelle comunità locali, rendendoli più accessibili. In Italia, invece, la struttura rimane ambulatoriale, poco mobile sul territorio e incapace di fare prevenzione.