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Gaza, l’ennesima tragedia: ucciso un infermiere di Medici Senza Frontiere

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 18/09/2025

AttualitàCronache sanitarieGlobal Nurse

 

Hussein, padre e collega, strappato alla vita dalle bombe

Non è più possibile parlare di incidenti, di fatalità, di “effetti collaterali”. A Gaza, la morte non conosce tregua e non fa distinzioni. Questa volta a cadere è stato Hussein Alnajjar, infermiere di Medici Senza Frontiere, ucciso il 16 settembre dalle ferite riportate cinque giorni prima, quando un attacco aereo israeliano ha colpito nei pressi della sua tenda. Con lui, in quell’istante che ha distrutto una famiglia, sono rimasti feriti anche la cognata e il nipote.

Aveva solo 13 mesi di servizio come infermiere nelle cliniche di Deir al-Balah e Khan Younis, ma già una vita spesa al fianco dei più fragili. Prima ancora aveva lavorato con i team MSF come tecnico di sterilizzazione, collaborando in un progetto di ricostruzione degli arti presso l’ospedale Al-Awda. Professionista appassionato, determinato, ma anche uomo che non dimenticava mai il sorriso, Hussein era molto più di un operatore sanitario: era padre di tre bambini, fratello maggiore di quattro, figlio che aveva perso troppo presto il proprio padre e che, a sua volta, si era fatto colonna portante della famiglia, sostenendo persino gli studi di medicina del fratello in Egitto.

Il suo nome si aggiunge alla lista insopportabile dei colleghi palestinesi uccisi dall’inizio della guerra: tredici operatori MSF, tredici vite dedicate alla cura, spezzate dalla violenza.

“Non si tratta di un tragico incidente – denuncia Medici Senza Frontiere – ma dell’ennesima dimostrazione che a Gaza non esiste alcun luogo sicuro. Condanniamo con forza questa uccisione e chiediamo ancora una volta il ripristino immediato del cessate il fuoco e la protezione dei civili.”

Per noi che siamo infermieri, leggere queste notizie significa guardare negli occhi l’orrore. Hussein non era un volto anonimo tra le macerie: era uno di noi. Un collega che, come tanti, aveva scelto di indossare la divisa bianca per dare speranza, per proteggere, per guarire. Eppure, in Gaza, neanche chi cura è al sicuro.

Questa morte, come quelle che l’hanno preceduta e che purtroppo continueranno a riempire le cronache, non può lasciarci indifferenti. Ogni volta che una bomba spegne la vita di un infermiere, di un medico, di un volontario, muore anche un pezzo dell’umanità che resiste alla barbarie.

La storia di Hussein ci obbliga a ricordare che il sangue versato non è un numero, ma un padre, un marito, un fratello, un infermiere che credeva nella dignità della vita.
E che ora non potrà più tornare ai suoi bambini.

Questo spargimento di sangue deve finire.

 

ph credit: MSF