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Demansionamento. Asl condannata a 20 mila euro di risarcimento all’infermiera

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 24/02/2021 vai ai commenti

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Con la sentenza 556 del 28 maggio 2020, il Tribunale di Latina ha condannato la Asl a risarcire un’infermiera per la somma complessiva di 19.739 euro, per averla adibita a mansioni squalificanti e non ricomprese nel profilo professionale.

L’infermiera si era rivolta al tribunale chiedendo di accertare se le mansioni alle quali era stata adibita fossero proprie del profilo di appartenenza; l’azienda aveva contestato l’infondatezza della domanda, sostenendo che l’obbligo generale di assistenza dell’infermiere verso il paziente non fosse circoscritto entro limiti ben definiti e che, in mancanza di personale di supporto, non poteva interrompere l’assistenza necessaria al benessere del paziente.

Il Giudice del Tribunale di Latina accoglieva il ricorso dell’infermiera, ed accertata la dequalificazione subita dalla ricorrente nell’intervallo di tempo che va dal 2013 al 2017, condannava la Asl al risarcimento di 19.739 euro, e ad  adibire la ricorrente ai compiti previsti per la qualifica d’inquadramento.

Il demansionamento

L’art. 2103 c.c. afferma che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto”.

Jus variandi” e mobilità del lavoratore

Poiché il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ogni successiva modifica nel corso del rapporto di lavoro, incontra determinati limiti imposti dalla legge o dai contratti collettivi. Secondo l’art. 2103 c.c., infatti, il datore di lavoro può esercitare il c.d.  ius variandi, può cioè sottoporre ad una certa mobilità il lavoratore, rispetto a quanto pattuito al momento dell’assunzione. Questa mobilità è legittima quando il lavoratore viene adibito a mansioni diverse ma corrispondenti alla categoria di appartenenza e comprese nel suo livello di inquadramento, e allora si parlerà di mobilità orizzontale; oppure può essere adibito a mansioni corrispondenti alla categoria superiore (perché magari ne ha acquisito le capacità) e in tal caso si parla di mobilità verticale. Ancora, il cambio di mansioni è legittimo quando viene adibito a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.

Oltre alla mobilità verticale ed orizzontale, esiste anche la “mobilità verso il basso”: essa consiste nell’assegnazione al dipendente di mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto o addirittura la sottrazione delle mansioni precedentemente esercitate. Si tratta del c.d. Demansionamento, che oggi rappresenta - con alcuni limiti- una espressione del suddetto jus variandi. Demansionare, a seconda delle circostanze, significa influire sulla dignità e sulla capacità professionale del lavoratore, ma anche evitare che si arrivi alla perdita del posto di lavoro.

 

Il demansionamento può provocare dei danni al lavoratore, si pensi all’impoverimento della propria professionalità, oppure alla lesione della dignità, o ancora alla delusione delle aspettative lavorative.

Tali danni possono essere di natura patrimoniale e non patrimoniale:

  • danni patrimoniali, sono perdite economiche dovute all’impoverimento della capacità professionale del lavoratore, che si manifesta con la mancata acquisizione di competenze e con la perdita di chance, cioè la perdita di possibili guadagni e la perdita della possibilità di trovare altri lavori con altri datori di lavoro.
  • danni non patrimoniali, possono essere quelle lesioni morali alla personalità o il danno biologico- danno esistenziale (Altalex)

 

Il 9 febbraio 2016, il NurSind, con la Sentenza n.52 del Tribunale di Caltanissetta, segnava il passo nella storia della lotta al demansionamento.

Il giudice, In accoglimento del ricorso, accertava e dichiarava che i ricorrenti dal 2006 al 2016 , avevano svolto anche mansioni inferiori non rientranti tra quelle d’inquadramento e, per l’effetto CONDANNANA l’ASP n. 2 di Caltanissetta AD ADIBIRE I RICORRENTI AI COMPITI PREVISTI PER LA QUALIFICA D’INQUADRAMENTO.

CONDANNAVA l’ASP n. 2 di Caltanissetta al RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE in favore dei ricorrenti via equitativa in una somma pari a € 1100,00 per ciascun ricorrente oltre la maggior somma di interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere del credito al soddisfo.

CONDANNAVA l’ASP n. 2 di Caltanissetta AL PAGAMENTO DELLE SPESE DELLA LITE che si liquidano in complessive € 6000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% oltre IVA e CPA come per legge.