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Mobbing e cose disumane nel reparto degli orrori. Parlano i colleghi della ginecologa scomparsa

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 17/06/2021 vai ai commenti

AttualitàCronache sanitarie

I vertici dell’Azienda Sanitaria di Trento hanno avviato un’inchiesta interna per capire come mai nel reparto di ginecologia dell’Ospedale Santa Chiara, negli ultimi mesi abbiano chiesto il trasferimento una ventina di operatori sanitari, tra medici ed infermieri; lo stesso reparto dove lavorava Sara Pedri, la ginecologa di cui da marzo non si hanno più notizie e sulla quale pare farsi spazio l’ipotesi del suicidio.

«In sala operatoria c’erano ferri chirurgici che volavano verso le persone, anche per un nonnulla. Ginecologi che erano bravi venivano allontanati dalla sala operatoria. Ti fanno sentire una nullità, cercano di trovare lo sbaglio anche se non c’è, pur di metterti in crisi. È il momento di parlare, perché non ci sia un’altra Sara», a raccontare, di spalle e con il volto coperto, è un collega della ginecologa scomparsa; lo fa ai microfoni della trasmissione televisiva Chi l’ha Visto, alla quale la famiglia di Sara si è rivolta, per ritrovare la figlia, scomparsa a marzo, dopo aver dato le dimissioni dall’ospedale di Santa Chiara di Trento, a seguito dell’ambiente mobbizzante che l’aveva segnata nel fisico e nell’anima.

E’ stata proprio la famiglia di Sara, nell’intento di far luce sulla scomparsa della giovane ginecologa, a raccontare quanto quest’ultima aveva confidato loro: “Sara era terrorizzata – evidenzia la sorella Emanuela, che ha rilasciato una lunga deposizione ai carabinieri di Forlì – e le sue colleghe ci hanno confermato quello che ci diceva lei: turni massacranti, abusi di potere, minacce continue”.

Le testimonianze sono state raccolte in una memoria di 15 pagine presentata dall’avvocato della famiglia, Nicodemo Gentile. «Nessuno mi ridarà mia figlia – ha detto in televisione Mirella, la mamma di Sara – però se il suo sacrificio può essere utile a qualcun altro, questo ben venga».

Ai microfoni di «Chi l’ha visto?» ha parlato anche Eugenia, una ginecologa che tempo addietro ha lavorato al Santa Chiara: «Mobbing, accanimento, cose disumane. Ho chiesto aiuto ma ho trovato un clima di omertà a tutti i livelli».

Il Mobbing, quanto è diffuso?

Il  settore sanitario è un ambiente adatto alla nascita di comportamenti configurabili come mobbing: la coabitazione di due professionalità sanitarie con profili dissimili e per certi versi antagoniste (quella infermieristica e quella medica), lo stress connesso alla turnistica e alla costante prossimità alla morte e alla malattia. L’elevata esposizione del personale sanitario al mobbing viene segnalata in alcuni lavori scientifici. Un rapporto ILO (Chappel e Martino, 1998), per esempio, individua tale popolazione ad alto rischio di maltrattamento. Anche Harald Ege parla della sanità come di un settore nel quale si presentano con significativa frequenza fenomeni di mobbing.

Secondo diversi studi, la probabilità che il mobbing  si sviluppi in sanità è 7 volte maggiore rispetto ad altri contesti lavorativi.

Il 26,6 % degli infermieri è vittima di comportamenti ostili sul lavoro, una o più volte alla settimana. Il mobbing è ancora oggi un fenomeno poco indagato, sommerso, difficile da dimostrare, coperto da omertà e paura di ritorsioni, che in questo clima, trova terreno fertile per radicarsi, con il risultato che molti preferiscano andarsene dalle unità operative, senza denunciare quanto avviene tra le mura dei reparti ospedaliere e spesso nel silenzio delle direzioni generali che non si interrogano mai sul perché degli elevati turnover di personale sanitario in alcune unità operative.

 

da il Corriere della Sera